Spesso sentiamo dire: i gusti non si discutono, e in effetti già i romani parlavano di de gustibus per dire che ciascuno si approccia al cibo in maniera strettamente personale.
Vero, però una cosa è dire mi piace un'altra è dire: questo cibo ha un gusto intenso, lungo, oppure molto corto, quasi nullo. Il primo approccio è tipico del mondo della gastronomia dove la stampa continua a magnificare l'unicità, la specificità e la spettacolarità di cibi, locali e non e dove i cuochi, pur dichiarando ad ogni piè sospinto di privilegiare la materia prima, non hanno poi strumenti conoscitivi e chiavi di lettura per “leggere” il livello qualitativo della materia prima e di fare acquisti mirati.
Il risultato è che, nella stragrande maggioranza dei casi, l'insapore è il convitato di pietra di molti ristoranti e della nostra tavola.
L'altro approccio è tipico del mondo della ricerca, perché uno dei caratteri distintivi della scienza è la misura. Ogni fenomeno deve poter essere misurato affinché sia ripetibile.
Ma siccome i due mondi, paradossalmente, non si incontrano e non si parlano, anche se adesso ci sono molti corsi di Laurea in Scienze Gastronomiche, noi non sappiamo come misurare il gusto, anche perché a nessun ristoratore verrebbe in mente che tutto questo potrebbe essere possibile.
Provo a fare il punto sullo stato dell'arte. Il cibo ha un odore, che è quello che percepiamo con il naso, un aroma, che rileviamo nella cavità retronasale e un gusto, che è quella sensazione che ci rimane in bocca quando l'ultimo pezzetto di cibo è stato ingoiato.
L'insieme dei tre in inglese si chiama flavour, ma in italiano non abbiamo la parola corrispondente.
L'odore è l'aroma sono dovuti a molecole volatili ed entrambi sono stati molto studiati in tutte le materie prime.
Parliamo di aldeidi, chetoni, alcoli, acidi, esteri, terpeni. Se ne sa molto, salvo l'origine del suo contenuto, le cause che lo hanno determinato.
In pratica: perché il pane ha o non ha odore? E le patate? E il formaggio?
Ma almeno sappiamo quali sono le molecole responsabili e poi tutti, gourmet o dilettanti, sono capaci o si divertono a riconoscere le note odorose.
Non parliamo sempre di madelaines? E il gusto?
Si sa che i gusti base sono 5: dolce, salato, acido, amaro e umami. L'ultimo, l'umami è stato scoperto nel 1917.
Poi ci sono le sensazioni, le percezioni di altri accezioni come il metallico, l'astringente, il piccante e altri che ciascuno ha l'ardire di individuare.
E tutte le ricerche partono dalla misura di questi 5 gusti base.
Prendo due pubblicazioni che più hanno approfondito il tema. I danesi Andersen e coll (2010), hanno analizzato le componenti non volatili, quelle che si ritengono responsabili del gusto, nel Cheddar.
Secondo gli autori l'analisi ha dimostrato che “l'acido glutammico, i sali minerali e gli acidi organici sono i principali responsabili del gusto, mentre gli amminoacidi, senza l'acido glutammico, hanno meno influenza. I tedeschi Toelstede e Hofmann (2008) hanno fatto lo stesso lavoro sul Gouda.
I risultati non sono dissimili: l'intensità dell'amaro dipende dal cloruro di calcio e dal cloruro di magnesio e da qualche amminoacido, la qualità dell'amaro invece dipende dai peptoni, l'umami dal monosodio L-glutammato e, l'asprezza, dall'acido lattico e dall'idrogeno fosforato.
Però se non conosco da cosa dipende il contenuto di queste molecole io non posso essere sicuro che proprio queste molecole siano responsabili del gusto.
Perché la gran parte dei ricercatori dà per scontato che i gusti basi siano questi cinque e, al momento di impostare la ricerca cercano, di trovare la relazione fra quei gusti e le molecole che o ritrovano in un formaggio qualsiasi o le riproducono in laboratorio.
L'errore sta proprio qui.
La ricerca non va fatta su un formaggio solo, ma per quella tipologia di formaggio, il Gouda per esempio vanno presi alcuni che ha più gusto e altri che non ne ha affatto.
Insomma, gli estremi. Solo così riesci a capire se quelle molecole che tu hai scelto come indicatori hanno effettivamente influenza sul gusto.
Quindi è vero che c'è una relazione fra acidi ed acidità ma se io volessi aumentare l'acidità di un formaggio come aumento il contenuto il contenuto di quella molecola?
Non solo.
Ma facciamo un caso concreto.
Se io prendo un gruppo di vacche e le tengo alla stalla per un mese con una alimentazione a base solo di silo-mais e mangimi, poi le porto al pascolo su un pascolo naturale e senza mangimi.
Prendo il latte e faccio il formaggio. Quindi, l'unico fattore che cambia è l'alimentazione. So quale è il fattore di variazione.
I formaggi potrebbero avere la stessa composizione chimica riguardo le proteine, il grasso, i minerali.
Cambia di sicuro la qualità degli acidi grassi, non del grasso, le vitamine, le note odorose e i polifenoli. I formaggi sono qualitativamente molto diversi. Quello del pascolo ha più note odorose e, soprattutto, un gusto più marcato, più intenso, più lungo.
Questa differenza, enorme, può essere spiegata, dal glutammato, dai cloruri, da alcuni minerali? Penso proprio di no.
Ecco perché io penso che i polifenoli abbiano più importanza di quella che qualcuno gli attribuisce.
Che, per il mondo della scienza, rimane sempre e comunque limitata all'astringenza e all'amaro.
Quindi sempre ai soliti noti gusti base. Mentre invece un formaggio con una forte personalità ti impegna il palato con gusti che non sapresti descrivere ma che permangono in bocca per lunghi minuti.
Quindi, se la scienza, almeno a mio avviso, ha poco scandagliato il mare profondo del gusto, come fa un ristoratore non solo a capire come si degusta ma anche a porsi il problema che possa esserci un modo per misurare e dominare quella sensazione che si ha in bocca?
Perché poi, se il fenomeno non è replicabile in pratica non esiste. E allo stato attuale, fatto salvo il vino e, in parte l'olio, per le altre materie prime siamo ancora in alto mare.
Insomma la strada del gusto sarà lunga e tortuosa.
SIMONE TOELSTEDE, AND THOMAS HOFMANN( 2008). Quantitative Studies and taste Re-engineering Experiments toward the Decoding of the Nonvolatile Sensometabolome of Gouda cheese. J. Agric. Food Chem, 56, 5299–5307
Lene T. Andersen*, Ylva Ardö, Wender L.P. Bredie(2010). Study of taste-active compounds in the water-soluble extract of mature Cheddar cheese . International Dairy Journal 20 528e536