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Il cilento può fare grandi formaggi. La lunga marcia è incominciata

Si è conclusa a Fortino – frazione di Casaletto Spartano – l’ultima delle tre giornate formative promosse da Anfosc nell’ambito dell’iniziativa “I formaggi caprini a coagulazione lattica”.

Tirando le somme qual è stato il risultato?

Considerando l’entusiasmo generale dei partecipanti ne viene fuori la quasi certezza di poter intentare una prima, pur tranquilla, rivoluzione casearia cilentana.

Il latte del Cilento non delude, infatti, le aspettative, confermandosi un fiore all’occhiello nel settore latteario-caseario.  E la prova arriva con le forme di robiola prodotte nei tre diversi caseifici che hanno ospitato l’evento (La Petrosa,  Mezzapelle e Amato – dove in quest’ultima è stato utilizzato il latte di capra prodotto dall’azienda Martorella): “tecnicamente l’acidità era buona, anche se c’è da lavorare sulla struttura che si è mostrata ancora troppo elastica. Ma il gusto è pieno, complesso e variabile” – afferma il presidente di Anfosc Roberto Rubino al termine di un confronto degustativo.

Un passo alla volta, quindi, ma le cose possono cambiare: bisogna solo avere bene in mente gli obiettivi da raggiungere. E Anfosc con il suo evento  sembra aver dimostrato come un’adeguata formazione professionale possa far accrescere  le abilità e le autonomie dei casari o di chi si appresta a diventarlo. Perché non ci si improvvisa di certo in questo settore, ma attraverso la consapevolezza e un approccio scientifico anche a chi non è un veterano vengono offerte basi solide per incominciare.

“Il cambiamento richiede una formazione adeguata e una coerenza nel lavoro da svolgere. Il Cilento vive di una materia prima invidiabile, ma è importante lavorare sulle conoscenze teoriche  di chi vive in questa terra”.

E dice bene Rubino, soprattutto pensando ad una territorio che ha bisogno di ritrovare nuovi impulsi economici e produttivi. “Simili eventi uniscono la stessa comunità  agricola. E la sperimentazione fa bene a noi, casari da sempre, ma può dare spazio anche ai  giovani” osserva Antonio Lo Quercio patron del caseificio Mezzapelle.

“Di giornate formative come queste ne dovremo fare molte di più” – secondo Pasquale Scotellaro – “ampliare  le nostre capacità produttive equivale, infatti, anche a riconoscere e incontrare il gusto di altri consumatori”.

Il titolare dell’azienda Martorella si riferisce all’emblema simbolo del latte di capra che con il suo presidio slow food del cacioricotta sembra, infatti, essere diventato, croce e delizia per gli stessi casari. Perché dici formaggio del Cilento e dici cacioricotta. Ma la nicchia non è mai il mercato “e la maggior parte delle nostre vendite non supera quasi mai neppure i confini della Campania”.

Una proposta diversificata sembra essere allora l’antidoto a quelle distese di terreni abbandonati e a intere generazioni in trasferta verso nuove e più rassicuranti mete lavorative “se proviamo a produrre anche altre tipologie di formaggi, diverse dal solo cacioricotta, potremo incontrare palati diversi. E’ una soluzione per non perdere la nostra cultura, cercando, però, di acquisire nuove fette di mercato che altrimenti non riusciremo mai a raggiungere”.

Che sia allora la robiola il nuovo punto di partenza?  Una democrazia “alimentare” (e anche lavorativa) potrebbe partire proprio da qui.

E nel mentre c’è già tanta attesa per i prossimi eventi di Anfosc.

29 Settembre 2023 – A Saracena (Cs) Formazione Itinerante con “Il Cibo ci Parla”

Al via uno dei primi progetti della neonata Accademia della terra del Comune di Seracena. L’associazione, nata come costola del Centro per la Valorizzazione dell’Agroalimentare Meridionale e finanziata dal bando “Borghi e Ospitalità” della Regione Calabria, pare avere un’unica grande ambizione: creare un nuovo tessuto di conoscenze nel mondo agricolo e alimentare attraverso il confronto tra chi produce e chi acquista.

Perché è la consapevolezza, infatti, l’unica strada da seguire per abbattere i lati di una stessa staccionata e provare davvero a parlare ad armi non più impari in questa catena economica alimentare fatta di attori di filiera e comparse inconsapevoli di consumatori.

Ed è così che il 29 settembre 2023 alle ore 10 – presso il centro storico del comune di Saracena – sarà affidato a Roberto Rubino – Presidente di Anfosc – il compito di fornirci i primi rudimenti per rivoluzionare, o quanto meno per mettere in discussione, le nostre stesse idee in tema di cibo.

Quanto ne sappiamo veramente di lui? E quando parliamo di gusto conosciamo davvero il suo significato?

Ci siamo mai domandati se quello che sappiamo – e conseguentemente le scelte di acquisto che seguiamo – siano supportati da fondamenti scientifici? O piuttosto, la nostra è solo una grande, gigantesca cultura costruita ad hoc da sistemi molto più alti e potenti della nostra stessa volontà?

La verità è che forse non sappiamo riconoscere se un cibo è buono o cattivo neanche se ci passa sotto il naso perchè le uniche istruzioni che ci vengono offerte provengono dal mercato – e da un ventennio a questa parte – passano solo attraverso il prezzo. E qui si ferma anche la nostra ricerca da detective esperti di gastronomia.

“La mancanza di chiavi di lettura della qualità, priva la stampa enogastronomica e gli stessi chef degli strumenti indispensabili per il proprio lavoro” si legge nell’introduzione de “Il Cibo ci parla – Istruzioni per capirne le peculiarità” edito da Infiniti Mondi e scritto da Roberto Rubino.

L’autore – attraverso una minuziosa ricerca scientifica, prova, a darci delle istruzioni per l’uso diverse da quelle offerta dal mercato ed il 29 settembre con  il suo seminario “Il Cibo ci parla – capire il cibo per rivoluzionare il lavoro della terra” Rubino attraverso una lezione teorica – accompagnata da momenti pratici di degustazione di formaggi e prodotti della terra – sembra volerci offrire  – mediante un metodo concreto fondato sulla diversità a confronto tra alimenti di una stessa tipologia –   una proposta per “salvarci” dall’ignoranza imparando a leggere e a studiare il cibo.

Per info e prenotazioni:

https://www.accademiadellaterra.it/programma

Capire il cibo per rivoluzionare il lavoro della terra – Il cibo ci parla

Appuntamento il 29 settembre 2023 ore 10.00 a Saracena (CS).

Lezione teorico pratica con degustazione di formaggi e prodotti della terra tenuta da Roberto Rubino.

Ingresso Gratuito – Iscrizione obbligatoria su https://accademiadellaterra.it

CHEESE 2023 – Perchè pascolo e fieno fanno la qualità di un formaggio

Alla vigilia dell’apertura di CHEESE 2023, rilanciamo un interessante intervento pubblicato su Gamberorosso.

DOMANI, 15 SETTEMBRE E FINO AL 18, VA IN SCENA CHEESE 2023, LA GRANDE KERMESSE DEDICATA AI FORMAGGI IN CASA SLOW FOOD A BRA (CN) DOVE TEMA CENTRALE È IL RUOLO DEL PASCOLO E DELL’ALIMENTAZIONE NELLA QUALITÀ DEL LATTE E QUINDI DEI FORMAGGI. ECCO PERCHÉ, SECONDO ROBERTO RUBINO

Alla vigilia di Cheese 2023 a Bra, ecco una riflessione di Roberto Rubino, ricercatore e presidente di Anfosc, sull’importanza del pascolo per la qualità dei formaggi. Quanto gli elementi di cui le bestie si nutrono – tra foraggi, erba, fieno – influiscono sulla qualità del latte, sulle caratteristiche nutrizionali, sull’odore e sul gusto? Si tratta di terreno ancora da esplorare a fondo sul piano scientifico. Eppure, molto spesso non ci sono differenze di prezzi tra i formaggi da pascolo e quelli da stalla.

Pascolo, fieno e gusto
Forse ci siamo, il recupero dei prati e dei pascoli è iniziato. L’edizione di Cheese a Bra (CN) di quest’anno (15-18 settembre) è dedicata ai prati (i prati polifiti dove pascolano gli animali); diversi concorsi sui formaggi da pascolo si tengono un po’ dappertutto e finalmente molti Consorzi di Tutela delle Dop accettano la diversità dovuta al “sistema pascolo”. Se penso che nel lontano 1995 avevo dato vita ad Anfosc (Associazione nazionale formaggi sotto il cielo) proprio per valorizzare i formaggi di animali al pascolo, per me questa novità potrebbe apparire un po’ deludente, ma è invece una buona notizia: perché le resistenze sono ancora notevoli e perché queste “novità” indicano che (forse) la lunga marcia potrebbe essere iniziata. Sarebbe ora che le crisi dei prezzi e dei mercati insegnino qualcosa a chi lavora sul campo e produce.

Flavour e salute
Vediamo brevemente qual è il ruolo dei pascoli o, meglio, dell’erba che gli animali mangiano. Secondo il mio personale parere il fattore principale, se non l’unico, ad influenzare il livello qualitativo del latte e, più in generale della carne e dei vegetali, è quello che l’animale mangia o che la pianta acquisisce dall’ambiente in cui vive. E per livello qualitativo intendo sia l’aspetto edonistico, il flavour (quindi aroma e gusto) che quello nutrizionale. E siamo al primo problema. Il mondo scientifico, in generale, sostiene che la materia è complessa e che l’alimentazione incide solo in parte. Parlo del latte, della materia prima, non di quello che avviene dopo, nel corso della trasformazione in formaggio. Ma cosa si sa attualmente?

foto di Jakob Ben Cotton/unsplash

Colore, antiossidanti, grassi e aromi
Sappiamo che il pascolo influisce sul colore dei formaggi (quelli di vacca tendono al giallo per effetto dei carotenoidi e del beta-carotene; quelli di pecora al verdino per effetto della luteina, perché non contengono beta-carotene; quelli di capra e bufala al bianco-grigio per l’assenza di entrambi questi carotenoidi) e sul potenziale antiossidante che è molto più elevato: per un aumento della vitamina E, dei carotenoidi e – secondo me – anche dei polifenoli.
Si sa anche che, con l’erba, aumentano i sesquiterpeni, molecole responsabili delle note erbacee. L’erba influisce anche sulla qualità degli acidi grassi, aumentando la quota degli insaturi sui saturi. Per esempio, la diversità del prosciutto iberico “de bellota”, dei suini che mangiano ghiande, viene attribuita a un aumento della percentuale di acido oleico, responsabile di alcune note odorose. E parlo di differenze sostanziali. Per esempio, il rapporto Omega-6/Omega-3 passa da più o meno quindici dei sistemi intensivi a sotto uno di quelli al pascolo. Il Grado di Protezione antiossidante è circa venti in quelli al pascolo per scendere sotto quattro in quelli alla stalla.

Roberto Rubino intervistato da Michela Becchi per Gambero Rosso

Cosa è e da cosa dipende il gusto?
Riassumendo, al momento sappiamo che i formaggi o la carne di animali al pascolo sono più colorati, hanno un maggiore potenziale antiossidante, una migliore qualità dei grassi e note odorose più intense. Ma le note odorose dipendono da molecole volatili che, per definizione, volano, che non mangiamo. Tutto questo va bene nel vino, che è un liquido e che non è indispensabile nella dieta; lo abbiamo anche provato empiricamente nella birra e nel miele. Ma il cibo, che è solido, ci serve per vivere, quindi sono le note pesanti, che non volano e che ingeriamo che dobbiamo conoscere. In pratica, il gusto. Cosa sappiamo del gusto? Poco e, sempre secondo me, male. Sappiamo che i gusti base sono 5: dolce, acido, salato, amaro e umami; forse 6: il grasso. E sappiamo che questi gusti dipendono da molecole pesanti, e cioè i sali influiscono sul salato, gli acidi sull’acido e così via. Ma ogni alimento ha queste caratteristiche. Non solo. Se mettiamo a confronto lo stesso formaggio, prodotto dalla stessa vacca al pascolo e alla stalla, e vogliamo misurare il gusto attraverso l’analisi sensoriale, non troviamo alcuna differenza, perché entrambi saranno un poco salati, leggermente acidi, ecc. E se anche le trovassimo, non troveremmo alcuna relazione con le molecole responsabili. Insomma, è come se per misurare il quoziente di intelligenza di una persona prendessimo le misure dell’altezza, della circonferenza e del piede e il colore dei capelli. Buone per una carta di identità, non per capirne il livello di intelligenza. Quindi, non solo al momento la scienza non si pone il problema del gusto, ma lo stesso consumatore non è in grado di cogliere il peso e l’importanza di questo parametro, perché la tecnica di analisi sensoriale che viene utilizzata non permette di risalire al relativo livello qualitativo e, quindi, alle molecole responsabili e al fattore che avrebbe determinato le eventuali differenze.

Pascolo o stalla? Ma i formaggi costano quasi lo stesso
Riprendiamo l’esempio del prosciutto “de bellota”. La differenza fra quello comune, che costa circa 20 euro al kg e quello più celebre (come lo Joselito) che ne costa 200 e oltre, è enorme ed evidente anche agli occhi di un inesperto. Eppure questa distanza viene attribuita alle ghiande, che determinerebbero un leggero aumento del contenuto di acido oleico il quale a sua volta sarebbe responsabile di alcune note odorose, volatili. Ma quel “prosciutto da ghianda” ha un gusto intensissimo, con una persistenza enorme e con una variabilità elevata. Perché e da quali molecole dipendono queste caratteristiche? Non lo sappiamo! Ecco, ci manca proprio la chiave di lettura più importante e che riguarda il gusto. Almeno però nel caso del prosciutto, iberico e anche italiano, la differenza di prezzo è giusta ed enorme. Nel caso dei formaggi, fatte rare eccezioni, il prezzo dello stesso formaggio, da pascolo e da stalla, è spesso, troppo spesso, identico. Anzi qualche volta il consumatore chiede: ma perché quel formaggio, quel burro è giallo? Mai che si chiedesse: ma perché questo formaggio è bianco?

https://www.gamberorosso.it/notizie/cheese-2023-perche-pascolo-e-fieno-fanno-la-qualita-di-un-formaggio/

 

IL CILENTO SI PREPARA PER OFFRIRE NELLA PROSSIMA STAGIONE UN CARRELLO DI FORMAGGI PIU’ RICCO E VARIEGATO

di Titti Casiello

A Ceraso, presso l’azienda agricola La Petrosa, prende il via l’iniziativa promossa da Anfosc: i formaggi caprini a coagulazione lattica.

L’evento che si inserisce in un ciclo di ulteriori due giornate  – il 19 settembre a Caselle in Pittari presso il Caseificio Mezzapelle  e il 22 settembre a Casaletto Spartano presso Pasquale Scotellaro – punta il faro sulla produzione casearia del Cilento  e sulle opportunità future.

L’eccellenza gastronomica di questa terra è, infatti, da sempre strettamente connessa al suo patrimonio naturale che funge quasi da veicolo per la sua stessa qualità. A dominare le alture, tutto intorno, è la macchia mediterranea e così arbusti piene di gemme ed erbe spontanee diventano distesa fertile e viva per chi esercita la pastorizia.

Ciò sembra valere soprattutto per quella particolare popolazione caprina che nel tempo si è stanziata lungo l’areale del Parco del Cilento e del Vallo di Diano e alla quale è concesso un pascolo brado o semibrado. È la capra cilentana, nelle sue tre sottotipologie di fulva, nera e grigia. Ed è in questo habitat di crescita che l’animale si nutre di ginestra, biancospino o foglie secche di fico. Ma questi, sono solo alcuni degli alimenti che si pongono alla base della sua nutrizione e che lei stessa, poi, ricompensa sotto forma di produzione di latte di ottima qualità.

Un corollario che segue poi anche nella produzione dei suoi formaggi sia in termini di sapori che di aromaticità conferita. Non un merito immeritato, allora che il cacioricotta cilentano sia diventato un presidio slow food da tutelare e valorizzare. Prodotto attraverso  una particolare tecnica di coagulazione del latte in parte presamica (con il caglio), tipica del cacio, e in parte termica, propria della ricotta, questo particolare tipo di formaggio dalla forma cilindrica, è oggi, infatti, diventato il simbolo della produzione casearia cilentana.

Ma perché limitare l’uso del latte di capra solo a questa tipologia? Leggere la bellezza casearia del Cilento in un’unica e sola produzione – attraverso il cacioricotta – appare allora limitante per l’economia stessa del Cilento.

Molteplici potrebbero essere le sue lavorazioni, fra tutte, quelle aa coagulazione acida.

Incontrare il futuro significa ricercare rinnovate relazioni tra alimentazione e territorio. Ed ecco perché Anfosc si propone di dare spazio a una nuova cultura di produzione a coagulazione acida lenta.

Un corso trasversale – sviluppato su tre incontri – per acquisire le tecniche base di questa produzione attraverso momenti di teoria, di confronto e di elaborazione pratica di forme di robiola. Terminando poi con la degustazione delle stesse nei successivi due incontri.

Il fine, come sempre, è di rendere il territorio l’unico protagonista e il più riconoscibile possibile attraverso i suoi prodotti dimostrando come questi possono acquisire nuove forme di nobiltà attraverso l’utilizzo di  innovate tecniche di produzione.  In fondo il futuro, a ben vedere, non è null’altro che una risposta rimodulata del passato.

Formazione Itinerante: I FORMAGGI CAPRINI A COAGULAZIONE LATTICA

Il Cilento è da sempre il regno della capra, perché la macchia mediterranea è molto diffusa ed è presente tutto l’anno.

La grande biodiversità floristica ed una latitudine favorevole, permettono a queste essenze foraggere di disporre di un patrimonio di metaboliti tale da rendere il latte degli animali che pascolano un unicum nel panorama nazionale. Purtroppo quasi tutto questo latte viene trasformato in Cacioricotta o in un caprino a pasta dura.

Comunque ci troviamo sempre di fronte a buoni formaggi, ma bisogna prendere atto che l’intero territorio, alla fine, offre solo 3-4 tipologie di formaggi. Tutto questo priva i ristoratori e, in generale, il mondo dell’accoglienza, di prodotti per arricchire l’offerta gastronomica.

Il latte di capra si presta ad altre tipologie casearie molto note all’estero e molto gradite ad una larga fascia di consumatori. Stiamo parlando dei formaggi a coagulazione lattica, spalmabili, freschi, aciduli; una pasta utilizzabile anche per molte variazioni sul tema (con aromi vari, a diversa stagionatura, pezzatura e colore).

Qualche allevatore ha già espresso la volontà di perseguire questo obiettivo e, per questo, vogliamo avviare un percorso per consentire, a coloro che volessero produrli, di imparare i rudimenti teorico-pratici, in questa fase di fine lattazione, in modo da iniziare la produzione già con la prossima stagione.

Per motivi logistici e per consentire a tutti di partecipare ad almeno una lezione, organizzeremo tre giornate rispettivamente a Caselle in Pittari (Caseificio Mezzapelle), a Ceraso (La Pedrosa) e  a Casaletto Spartano (Pasquale Scotellaro). Nella prima giornata si produrranno le robiole e nelle successive due, oltre alla robiola, si degusteranno quelle precedenti.

Le date verranno definite quando avremo acquisito disponibilità degli interessati e le loro preferenze.

Agli interessati

Si prega di comunicare la propria adesione entro il 10 settembre 2023 a:

info@anfosc.it

oppure per SMS o Whatsapp

Roberto Rubino 3488568631

Le Masterclass MADE IN MALGA 2023 – 11.ma Edizione

Le MASTERCLASS di MADE IN MALGA ‘23 – 11^ edizione
1 – 3 e 8 – 10 settembre 2023 Asiago (VI)
Domenica 10 Settembre ‘23 ore 11:00
Da cosa dipendente il livello qualitativo del formaggio? Quale ruolo ha l’erba?
Il Prof. Roberto Rubino, presidente Anfosc, condurrà una degustazione di caciocavalli prodotti dallo stesso casaro lo stesso giorno e diversi solo per l’alimentazione degli animali.
In abbinamento Calà Verdeca del Salento 2022 Feudi del Salento – Puglia
Costo a persona euro 12.00
Per prenotare clicca qui
MADE IN MALGA ‘23 – 11^ edizione
1 – 3 e 8 – 10 settembre 2023 Asiago (VI)
L’Evento nazionale dei migliori formaggi e dei prodotti della montagna
Un evento Guru Comunicazione

SFRUTTIAMO I CONCORSI CASEARI PER ANIMARE UN SETTORE IN SONNO!

In piena estate sono usciti, quasi in contemporanea, i risultati di due concorsi caseari, rispettivamente sulla mozzarella di bufala e su quella di vacca.

Non entro nel merito dei risultati, perché dò per scontato che i valutatori si sforzino di dare il massimo, ma la lista dei finalisti mi costringe a porre qualche domanda prima a me stesso e poi al settore.

I concorsi possono e devono essere un’occasione per fare il punto non solo sui prodotti in gara ma sulla situazione dell’intero settore, per capire eventuali limiti, per cogliere nuove sfumature, insomma per vivacizzare e migliorare il comparto.

Ma per ottenere questo risultato occorre che dal concorso escano non solo una muta classifica di caseifici ma le motivazioni per cui un caseificio si è classificato meglio di un altro.

Cos’è che fa alzare il livello qualitativo della mozzarella?

In pratica, se un caseificio volesse porsi l’obiettivo di vincere il concorso successivo cosa dovrebbe fare?

Molto semplicemente, questi concorsi potrebbero e dovrebbero darci una conferma dell’esistenza della relazione fra l’effetto (il livello qualitativo) e la causa (il fattore che lo determina).

So bene che questo tema è complesso e poco studiato, però non possiamo sottrarci a questo compito se vogliamo dare un contributo concreto al settore.

Provo a spiegarmi meglio. Se scorrendo le due liste notiamo che ai primi posti ci sono aziende intensive, molto intensive, il dubbio è d’obbligo perché ormai è accettato che c’è una reazione inversa fra livello qualitativo e livello di intensivizzazione dell’alimentazione.

Delle due l’una: o non è vera questa tesi, oppure la valutazione è fatta in maniera tale da non rilevare le differenze che “devono” essere presenti.

Assodato quindi che il flavour e anche il valore nutrizionale è legato strettamente alla quantità di erba e al numero di specie erbacee presenti nella dieta e che i concentrati hanno un effetto diluizione, ne deriva che il livello qualitativo dei sistemi intensivi è al minimo.

È anche vero che questi sistemi non sono tutti uguali, perché alcuni, al posto dell’insilato, usano i fieni e, in qualche caso, questi fieni sono di prati polifiti e ben fatti (raro, ma può succedere).

Se tutto questo è vero, ci dovremmo aspettare una graduatoria con ai primi posti aziende che utilizzano buoni fieni polifiti ed una quantità di mangimi al di sotto del 50%. E per la verità nel podio delle mozzarelle di vacca c’è qualche azienda che rispetta queste condizioni.

Torniamo ora alle mozzarelle.

Le due realtà sono molto differenti perché il sistema bufala è pressoché tutto intensivo, quello bovino è molto variegato, anzi mai come quest’anno, per le abbondanti piogge, la mozzarella ha raggiunto livelli mai visti.

Nel caso della mozzarella bovina la scelta dovrebbe essere più semplice perché la distanza fra le mozzarelle può essere elevata e i valutatori hanno l’intero range a disposizione per meglio tarare la valutazione. Eppure nell’elenco figura un caseificio che si vanta di aver dato “sapore al bianco”, che è un ossimoro, una contraddizione in termini.

Quest’anno il giallo imperava e il flavour ne ha beneficiato. E poi c’è un elemento di disturbo e che riguarda l’uso di latte o cagliate estere.

Nei periodi estivi all’estero gli animali sono al pascolo e il latte che arriva in Italia spesso è giallo. Verrebbe da dire: facile vincere in questo modo.

Però, se la tesi che è l’alimentazione a determinare il livello qualitativo venisse condivisa anche nei commenti, quel caseificio non si vanterebbe più delle sue mozzarelle bianche e chi volesse vincere il concorso saprebbe come fare.

Più complesso è il sistema bufalino.

Quasi tutte le aziende sono intensive. E allora, si sarebbe portati a pensare che, almeno in questo caso, la tecnica può fare la differenza.

Io non lo penso per almeno due motivi.

Il primo è che la tecnica incide solo sulla struttura, non sul flavour e i consumatori hanno un rapporto con la struttura molto personale: a chi piace elastica, a chi morbida, a chi stracchinata, ecc.

Il flavour dipende dal latte e la tecnica può solo abbassarne il livello. Quindi una grande tecnica è quella che valorizza al massimo “quel” livello qualitativo del latte. Ne deriva che, se le razioni non sono uguali, perché cambia non tanto la quantità di concentrati quanto la qualità e il numero delle specie erbacee, allora il flavour delle mozzarelle sarà diverso anche se non in maniera vistosa.

Stiamo parlando di un prodotto fresco e con molta acqua. Come fare?

Occorre predisporre una scheda di analisi sensoriale meglio calibrata sull’obiettivo da cogliere e, soprattutto, misurare non tanto l’aroma quanto il gusto.

Non conosco la scheda utilizzata ma so che la tecnica di degustazione che si usa non solo fra i “dilettanti” ma anche nel mondo della ricerca tiene conto solo marginalmente del gusto e in una maniera che non consente di scendere nei dettagli.

E comunque, a prescindere, se nella lista figurano aziende intensive che utilizzano insilati, qualche domanda qualcuno se la dovrà pur porre.