Francesco Tiezzi North Carolina University
Dopo le considerazioni gastronomiche, non si può prescindere da farne alcune ambientali.
Non passa giorno che non ci venga ricordato quanto il consumo di carne contribuisca ai cambiamenti climatici, alla riduzione della diversità e allo scarso benessere degli animali in certi allevamenti.
Proprio qui negli Stati Uniti sembra esserci l’epicentro di questo fenomeno, di conseguenza la metà dei fast foods ormai propone alternative vegane all’hamburger o al fried chicken.
Si parla di come la carne bovina sia la più dannosa, principalmente per la produzione di metano e il consumo di terra, soprattutto nella regione Amazzonica. Seguono pecore e capre, sempre in qualità di ruminanti, seguite dai suini e, infine, i polli. Gli ultimi sarebbero i più efficienti a trasformare gli alimenti vegetali in carne.
Detto così è un po’ semplificato. Andiamo per gradi.
Quando si mangia carne, piuttosto che cereali (per esempio), ci si pone un livello più in alto nella catena trofica. Cibandosi di altri animali, bisogna che tali animali prima mangino ‘i cereali’, generalmente parlando. Ma ogni passaggio nella catena trofica comporta delle perdite, per esempio per fare crescere un maiale di un chilo di peso vivo si impiegano circa 3 chilogrammi di mangime (in allevamento intensivo), mentre servono meno di due chili di mangime per far crescere un pollo di un chilo (sempre in allevamento intensivo). Questi meri calcoli approssimativi servono a dimostrare che se noi mangiassimo quei tre chilogrammi di ‘cereali’ sarebbe come se avessimo mangiato quel chilogrammo di maiale vivo, che in realtà equivale a circa mezzo chilo di carne di maiale per via degli scarti di macellazione.
Quindi tre chilogrammi di ‘cereali’ equivalgono a mezzo chilo di carne.
La maggior parte dei bovini, suini e avicoli allevati nel mondo è alimentato con poche specie vegetali, principalmente mais e soia. Per quanto riguarda gli allevamenti Europei e Asiatici, il 90% della soia arriva dal Sud America, dove le foreste vengono rimosse per far spazio alle coltivazioni. Tali coltivazioni hanno, tra l’altro, rese basse e irregolari, per il fatto di essere agro-ecosistemi giovani e quindi instabili.
Ma tre chili di ‘cereali’ ci nutrono come mezzo chilo di carne di maiale? Probabilmente no, ma non mi dilungo sugli aspetti nutritivi dei vari prodotti animali o vegetali. Viene già detto troppo e ancora non ci sono studi inconfutabili che dimostrino che una dieta sia meglio dell’altra.
Tornando alla efficienza di conversione alimentare, i bovini dove si collocano?
L’indice di conversione alimentare per i bovini cambia molto in base alla dieta, è di solito migliore (più basso) se i bovini si alimentano a cereali (ovvero, foraggi concentrati) mentre aumenta se i bovini si alimentano solo a erba e fieno (ovvero, foraggi fibrosi). Infatti, una tendenza degli ultimi decenni è stata proprio quella di alimentare i bovini a cereali e soia, in modo da aumentarne l’efficienza alimentare.
Eppure, uno dei vantaggi dell’allevamento bovino (o degli ovi-caprini) era proprio quello di riuscire a trasformare i foraggi fibrosi in lavoro-carne-latte, altrimenti inutilizzabili come alimento dagli esseri umani. I foraggi fibrosi erano e rimangono di più facile coltivazione, sono spesso perenni, in generale richiedono meno cure e interventi, crescono a quasi tutte le latitudini. Anzi, gli animali al pascolo sapevano trovarselo e sceglierselo il foraggio, il che ha parecchio aiutato il genere umano a sostentarsi.
Allora perché si è passati ad alimentare i ruminanti a cereali e soia?
Mentre prima l’abbondanza di foraggi fibrosi spingeva ad allevare ruminanti, oggi l’allevamento dei ruminanti porta alla coltivazione di cereali e soia. Come mai?
Ci sono stati diversi passaggi negli ultimi 100 anni che ci hanno portato a questo punto. Le cause sono molteplici e andrebbero affrontate con calma. Rimanendo sull’argomenti dei surrogati dei prodotti animali, è chiaro che se la nostra alimentazione fosse basata direttamente su soia e cereali, sarebbe più efficiente. Per lo meno seguendo il ragionamento elucidato in questo articolo.
Da punto di vista ambientale, i surrogati di latte, carne e uova non possono che aiutare ad alleviare la forte pressione data dalla crescente domanda. Questo è difficilmente confutabile. Se si riducesse il consumo di prodotti animali di certo l’impatto ambientale diminuirebbe.
E sarebbe auspicabile, a mio avviso, che i prodotti animali di scarsa qualità venissero interamente sostituiti con alimenti vegetali.
Ma come si fa a definire quali alimenti di origine animale andrebbero rimossi?
Che cosa dovrebbe cambiare nella nostra dieta?
Non si dovrebbe fare di ogni erba un fascio quando si parla di allevamenti.
Si potrebbe tornare ad alimentare i ruminanti con più foraggi fibrosi, in modo da diminuire, se non azzerare, la dipendenza dalla soia.
Si potrebbe tornare a pascolare tante aree abbandonate o quasi, con vantaggi dal punto di vista della biodiversità e della vita rurale.
Si potrebbe mangiare meno carne, ma di maggiore qualità. A prescindere che questa provenga da allevamenti più o meno intensivi, maggior qualità coincide con minor consumo, perché la carne di qualità non viene ridotta a una mera schifezza che da fa riempimento ai nostri pasti.
Si potrebbe stare attenti alla provenienza della nostra carne. Si potrebbe evitare di comprare carne che arrivi al supermercato dall’altra parte del mondo. Si potrebbe andare a conoscere gli allevatori e come questi lavorano.
Si potrebbero remunerare gli allevatori che producono carne e latte di qualità e a basso impatto ambientale. Due cose che, tra l’altro, spesso vanno di pari passo.
E proprio gli allevatori, come vedono tutta la discussione su soia, foresta Amazzonica e ‘carni vegetali’?