Agricoltura o agrindustria: quale è l’idea di made in Italy di questo governo?

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di Stefano Polacchi

Dopo la celebrazione di McDonald’s come testimonial del made in Italy alla Camera dei Deputati (feat. il leghista Luca Toccalino e messaggio di plauso dall’europarlamentare Antonella Sberna), gira il video della premier Giorgia Meloni che racconta di aver regalato a Re Carlo III d’Inghilterra un barattolo di Nutella per allietare gli uggiosi pomeriggi britannici sul divano davanti alla tv. Al di là delle particolari attenzioni di Re Carlo al cibo e dei continui moniti di Camilla per la sua salute, chissà se e quanto apprezzerà la crema di gianduja? Da quello che si sa, invece, i Reali avrebbero molto apprezzato il regalo che ha fatto loro Papa Francesco per i 20 anni di matrimonio: una magnum di Amarone Bertani del 2005. Questo sì un regalo in linea con il concetto di made in Italy agricolo! Peraltro, sembra sia stata la prima volta che un pontefice regala una bottiglia di vino. Ma perché – secondo noi – ha un senso avvicinare questi due “regali” istituzionali? In qualche modo, a livello simbolico (ma i simboli in politica sono importanti!) mettono a confronto due idee di made in Italy: una legata all’agroindustria italiana, l’altro all’agricoltura italiana.

Made in Italy e Agricoltura

Anche attraverso la lettura dei simboli, così, sembra che questa Destra sovranista sembra aver scelto ormai da che parte stare, una volta arrivata al Governo: l’agroindustria. Certo, lì girano soldi veri e potere. Un conto è Ferrero, altro l’agricoltore che ogni giorno ha a che fare con trattori e operai nella sua campagna, per quanto grande. Una scelta che sembra però scuotere un po’ l’anima del partito della premier. Tanto che Fabio Rampelli – ex padrino di Meloni a Colle Oppio e vicepresidente della Camera (e per questo atteso come ospite nella celebrazione del made in Italy) – non si è presentato al convegno su made in Italy e McDonald’s in Parlamento. Ma ha voluto rimarcare in una nota le sue radici: da sempre contro i fast food e con la speranza che oltre agli hamburger comincino a proporre l’amatriciana (che sempre comunque di McDonald’s sarebbe, magari col guanciale dei F.lli Beretta, altra industria che i suini se li fa venire da oltreconfine, come la gran parte delle nocciole di Ferrero).

Il ministro Lollobrigida e l’Agricoltura

Vero, comunque, che Ferrero è uno dei marchi del made in Italy più importanti al mondo. Però, appunto, vorremmo capire meglio cosa sia il made in Italy. Anche perché, quando il ministro Francesco Lollobrigida afferma (in un’intervista a Claudio Brachino su Italpress) che “l’agricoltura – come “settore primario“, ovvero relativo a chi produce materie prime coltivando la terra o allevando bestiame – è tornata al primo posto come valore aggiunto in Europa, cosa che non accadeva da anni, superando Francia e Germania” e che “è il traino del Pil italiano” con “il reddito degli agricoltori che cresce in termini assoluti più che in ogni altra parte d’Europa” citando come punte di diamante i trend del vino e dell’olio, vorremmo capire cosa c’è dentro queste affermazioni: agricoltura o agroindustria? Chissà cosa ne pensano gli agricoltori italiani che invece sembrano sentirsi traditi da questo governo? Lo dimostrano le varie manifestazioni che a più riprese portano in piazza trattori e forconi. E lo dimostrano anche le decine di migliaia di aziende agricole che ogni anno sono sul filo della chiusura.

Regalare Nutella: come regalare il Classico di Monini

Alla fine, regalare Nutella – che come altra faccia della medaglia vede le proteste dei nocciolicoltori italiani per il diktat sui prezzi delle nocciole che esercita Ferrero indicata ormai come il vero e quasi unico player mondiale nel determinare i compensi per gli agricoltori – è un po’ come regalare una bottiglia di Monini Classico. Va bene Monini, va bene anche Nutella… ma il made in Italy è anche (ben) altro. Di creme artigianali a base di nocciole ce ne sono ormai (per fortuna) molte, prodotte da aziende agricole vere e realizzate con la massima attenzione alla qualità (intesa sia come valore nutrizionale che ambientale e gustativo) e che a livello di golosità e di soddisfazione sono davvero una spanna oltre i barattoli di Ferrero. Un dono, questo della Nutella, che la premier ha già fatto ai suoi omologhi al recente vertice del G7 in Puglia e come regalo di fine anno ai suoi colleghi nel Consiglio dei Ministri.

Agricoltura e agroindustria: le differenze

L’agricoltura italiana non è l’agroindustria. E il governo italiano dovrebbe forse occuparsi di più delle filiere e dei rapporti tra le varie parti in campo se obiettivo è dare forza all’agricoltura e non solo all’industria o – peggio ancora – alle grandi catene della distribuzione che alla fine son quelle che maggiormente traggono profitti sulla pelle degli agricoltori. Altrimenti, ci si riempie la bocca di agricoltura, si stringono legami importanti con Coldiretti (tanto per fare qualche nome, a proposito delle scelte di questo governo e del ministro dell’Agricoltura) per poi far fare utili solo a chi quei coltivatori li brandisce a mo’ di bandiera-spot per concentrarsi poi su ben altri affari. Cosa significa? Si tratta davvero solo di polemica politica o c’è dietro uno scontro di potere e finanziario molto forte e concreto?

II dominio della Gdo

Basta dare un’occhiata all’inchiesta di Gloria Riva e Silvia Lazzaris su L’Espresso del 13 giugno scorso per avere il senso di cosa divide i due settori di agricoltura (terra) e agroindustria (industria, appunto, e distribuzione: “La sua forza – di Coldiretti, ndr – non sta solo nei numeri, ma nella capacità di affrontare le profonde trasformazioni del settore agroalimentare. Uno dei problemi più grandi (per l’agricoltura, ndr) è lo strapotere della grande distribuzione organizzata: «L’aumento del potere della Gdo, forse funzionale al portafoglio del consumatore, ha messo in crisi gli agricoltori, che non controllano le sementi né il prezzo delle materie prime e, alla fine, restano strangolati dal prezzo di vendita al mercato», spiega a L’Espresso Riccardo Bocci, agronomo e direttore della Rete Semi Rurali che aggiunge: «negli ultimi anni la strategia Coldiretti è stata quella di creare qualcosa di più grande della Gdo, proprio per competere». Bocci – scrivono le autrici dell’articolo – si riferisce alla nascita di Cai spa e all’espansione di Bonifiche Ferraresi, confluita nella società quotata Bf Holding spa, la più grande azienda agricola italiana”.  Più avanti, parlando delle varie scatole cinesi fatte di società partecipate e controllate, l’inchiesta de L’Espresso afferma: “il bilancio di Cai è consolidato nella società quotata Bf, ed è quest’ultima a nominare l’amministratore delegato, che ha diversi poteri: dalla gestione, al business plan, fino alle acquisizioni di nuovi consorzi. Per di più, sulla base dei patti parasociali, Vecchioni e Lelli, amministratore delegato di Cai e responsabile dell’area economica di Coldiretti, hanno poteri fondamentali sulla direzione di Cai, che gli altri amministratori e una schiera di piccoli consorziati non hanno. Contattata da L’Espresso, Coldiretti prende le distanze da Cai (che ha sede legale nello stesso Palazzo Rospigliosi di Roma, sede di Coldiretti) e Bf spa, sostenendo «inesistenti rapporti societari con imprese commerciali». Ma specifica anche che oggi la Coldiretti «rappresenta nel miglior modo possibile sia le grandi aziende che le piccole, ossatura del nostro sistema agroalimentare»”.

Chiudono le aziende agricole, torna il latifondo

“Per anni il settore agricolo è stato dimenticato ed oppresso dalle politiche green della sinistra. Hanno provato in tutti i modi ad affossare ciò che rappresenta la nostra Nazione: il Made in Italy, per il quale siamo famosi in tutto il mondo. Grazie alle politiche messe in campo dal governo Meloni, l’agricoltura italiana è stata rilanciata ed è tornata centrale“. Rivendica sul suo sito Giovanni Donzelli, uno dei bracci destri del partito meloniano, parlando della recente iniziativa ministeriale “Agricoltura è”. Appunto: di cosa parliamo, di agricoltura o di agroindustria? Perché – ripetiamo – non sono la stessa cosa, assolutamente no, pur facendo parte di una filiera che è l’agroalimentare. E anche la forte presenza dell’agroindustria in quella occasione non ha fatto ben capire cosa sia il made in Italy per questo governo: se sia appunto industria o se sia soprattutto l’agricoltura.
“Negli ultimi quarant’anni si è perso per strada il 60% delle imprese del settore primario – è appunto il dato da cui parla la citata inchiesta de L’Espresso – che hanno lasciato il passo ad aziende più grandi. Senza destare particolari preoccupazioni. Perché degli agricoltori ci si accorge solo quando, per protesta, bloccano le autostrade con i trattori: per qualche frazione di secondo, ci si domanda se siano più arrabbiati con l’Europa, con il governo o con i sindacati. Grave errore, dimenticarsi dell’agricoltura, dove sfocia il fiume di denaro europeo della Politica agricola comune (35 miliardi tra il 2023 e il 2027) e i cui interessi si intrecciano con quelli della politica, della grande distribuzione e di tutti i cittadini”. Stiamo a vedere… Intanto, nell’attesa, una fetta di pane e Nutella ci sta sempre bene.