Il Colore del Formaggio – Il Giallo – p. II

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Perché il giallo vuol dire qualità

Abbiamo visto che i formaggi gialli (quelli bovini) o tendenti al verde (quelli ovini) assumono questo colore per effetto dei carotenoidi, terpeni che passano dall’erba al latte. Ma perché in questi formaggi c’è un contenuto variabile, ma comunque alto di queste molecole? La loro funzione non è certo quella di dare un colore alla pasta, ma di bloccare l’ossidazione degli acidi grassi insaturi, grassi che per loro natura sono facilmente ossidabili, perché nella loro struttura hanno un doppio legame, che li rende sensibili all’ossidazione. Quindi, più erba mangiano gli animali, più acidi grassi insaturi passano nel latte e più è richiesta la presenza di un contenuto adeguato di antiossidanti. Nel latte gli unici antiossidanti sono il beta-carotene e la Vitamina E, i tocoferoli. Questi ultimi non solo hanno la funzione di coadiuvare il beta-carotene nel bloccare l’ossidazione ma controllano a loro volta il beta-carotene, che se in eccesso, è anch’esso soggetto all’ossidazione.

Negli anni ottanta in Australia un gruppo di ricercatori avviò un grosso progetto di ricerca per ridurre il contenuto di beta-carotene nei trifogli. Erano gli anni in cui gli australiani giravano il mondo alla ricerca di essenze autoctone da trapiantare nel loro paese per aumentare la produzione foraggera dei prati. E fecero talmente bene questa operazione che in pochi anni vendettero agli europei molte essenze da loro introdotte e selezionate, prime fra tutte il Trifolium repens, una varietà che si prestava molto  bene da pascolo perché autoriseminante. Però da quelle parti gli animali vivevano solo con il pascolo, niente concentrati. Quindi i formaggi erano molto gialli, di un giallo quasi fastidioso. Vollero intervenire con la selezione provando a ridurre il contenuto di beta-carotene. Non so se ci riuscirono, immagino di sì, ma il risultato è dubbio perché se noi selezioniamo un organismo solo per aumentare o diminuire una molecola, e poiché quella molecola ha una funzione precisa e il suo contenuto è in relazione alle altre con le quali è in equilibrio, alla fine certamente avremo creato uno squilibrio. Gli acidi grassi insaturi si saranno ritrovati con meno antiossidanti e la loro ossidazione sarà stata nell’ordine delle cose.

Oggi molti formaggi hanno un retrogusto metallico, che deriva da un’ossidazione dei grassi e che è dovuta certamente a uno squilibrio nella dieta alimentare.

Se, parlando di qualità, prendiamo in considerazione il Grado di Protezione Antiossidante

Ma torniamo ai nostri due antiossidanti. Essi bloccano l’ossidazione non solo degli acidi grassi insaturi ma anche e soprattutto del colesterolo. Negli anni scorsi si è fatto un gran parlare del colesterolo, i medici sono arrivati a vietare i formaggi per la sua presenza in tutte le tipologie. Ma, a parte che il colesterolo è una molecola importante, perché rientra nella costituzione di alcuni ormoni e, comunque, se c’è, una funzione specifica deve pure averla.  La pericolosità non riguarda quindi il colesterolo, ma i prodotti della sua ossidazione: i radicali liberi.

Nel latte, come nell’organismo umano, sappiamo che il suo contenuto varia poco con l’alimentazione, molto dipende anche dallo stile di vita. Noi, nel CRAE di Bella, abbiamo provato a misurare i radicali liberi nel sangue delle capre. Quando le mandavamo al pascolo, i valori medi si abbassavano, per poi risalire quando ritornavano alla stalla. Per il resto il valore del colesterolo è abbastanza stabile. Quello che cambia e di molto è la sua ossidabilità, che dipende dalla presenza degli antiossidanti. Insieme all’Istituto della nutrizione di Roma, ora anch’esso diventato CRAE, abbiamo provato a studiare un indice, che Laura Pizzoferratto chiamò Grado di Protezione Antiossidante, che teneva conto sia del contenuto di colesterolo (al denominatore) e sia del contenuto di beta-carotene+ Vitamina E (al numeratore). I risultati sono eloquenti: passando dalla stalla al pascolo l’indice passa da zero a venti. Cioè, a parità di colesterolo, il latte di animali al pascolo ha una protezione dall’ossidazione anche venti volte superiore al latte, degli stessi animali, alimentati alla stalla.

E il rapporto omega6/omega3?

Più o meno gli stessi risultati sono stati ottenuti con il rapporto omega6/omega3. Oggi questo indice viene molto preso in considerazione in campo medico e nella nutrizione umana. La FAO raccomanda che questo rapporto deve essere sotto cinque. Perché, se entrambi sono acidi grassi insaturi, solo l’omega 3 è preferibile che sia il più alto possibile? Sempre che, naturalmente, ci sia la giusta quantità di antiossidante per bloccarne l’ossidazione. Perché sono note le implicazioni positive degli omega 3, ma sono anche note quelle negative degli omega6, accusati di essere i responsabili delle infiammazioni articolari. Quindi il rapporto deve essere il più basso possibile.

Come varia nel latte e da cosa dipende? Gli omega3, gli acidi grassi insaturi, provengono e sono determinati dalle erbe, gli omega6 sono contenuti nei semi, quindi nei concentrati. Gli animali al pascolo o mangiano solo erba o ricevono modeste (spesso) quantità di concentrati. Alla stalla invece l’apporto di erba, raramente fresca, quasi sempre sotto forma di fieno o di insilato, è basso, sotto il 40% del totale della razione, mentre i concentrati arrivano anche fino al 70%. I risultati sono quelli che ci dobbiamo aspettare: mentre negli animali a solo pascolo l’indice è praticamente uno o anche al di sotto, negli animali alla stalla può arrivare anche a venti. Nel Latte Nobile il disciplinare è definito in maniera tale che questo rapporto deve essere sotto quattro. E questo risultato non è difficile da raggiungere perché il rapporto foraggio concentrato è obbligatoriamente  70/30.

L’indice è tanto efficace che un’eventuale variazione, come ogni tanto ci capita di osservare quando abbiamo dei dubbi sul comportamento di qualche allevatore, trova riscontro in un aumento dei concentrati nella razione. Per questo viene utilizzato per controllare e certificare la filiera dl Latte Nobile.

E c’è anche il CLA

E veniamo ora a un altro acido grasso insaturo importante: il CLA (acido linoleico coniugato).Negli anni novanta del secolo scorso furono soprattutto i ricercatori americani a scoprire che quest’acido svolgeva un forte ruolo protettivo nei confronti di alcuni tumori, soprattutto della mammella. Già agli inizi del nuovo secolo si conoscevano i fattori che ne influenzavano il contenuto nel latte e nella carne. Contrariamente agli altri acidi grassi, che sono presenti anche in natura, quest’acido si forma nel rumine negli animali, anche se il precursore è sempre l’erba. Mano a mano che le ricerche andavano avanti si è capito che, anche in questo caso il suo contenuto po’ arrivare ad avere oscillazioni di venti volte in relazione alla percentuale di erba presente nella razione.

Qualche anno fa sulla stampa nazionale comparve un annuncio apparentemente eclatante. Alcuni ricercatori avevano scoperto che somministrando ad un gruppo di persone ipercolesterolemiche 100 grammi al giorno di un pecorino prodotto da animali che erano stati alimentati in maniera particolare, si otteneva una diminuzione dei livelli di colesterolo. La stampa, nella sua esigenza di ridurre tutto a sintesi, titolò: il pecorino fa diminuire il colesterolo. La motivazione di questo fenomeno apparentemente strano, veniva attribuita all’alto contenuto di CLA nel formaggio. Ancora adesso, il caseificio che aveva prodotto quel formaggio, promuove i suoi prodotti ricordando i risultati di cui sopra. Vero o falso? I risultati sono veri, le persone che si sono assoggettate alla prova veramente hanno riscontrato una riduzione del livello di colesterolo. Vero anche che l’effetto può essere spiegato (anche e non solo) dal CLA, ma è l’interpretazione del risultato che è sbagliata. Tutti gli animali al pascolo hanno un alto livello di CLA, pari o anche superiore a quello riscontrato in quella ricerca. Quindi, non solo quel pecorino potrebbe favorire la diminuzione del colesterolo ma tutti i formaggi, di tutto il mondo, prodotti con il latte di animali al pascolo. Non solo. Ma quegli animali furono alimentati alla stalla con un’integrazione di pannelli di lino, ricchi di acidi grassi insaturi. Quindi non hanno avuto accesso a quell’enorme variabilità di erba fresca che un pascolo può dare. Quando è al pascolo, l’animale sceglie la propria dieta in funzione delle esigenze del momento. Alla stalla è costretto a mangiare quello che gli viene somministrato. Se ritorniamo per un attimo al discorso dell’equilibrio delle molecole, nel caso del pascolo l’equilibrio è assicurato naturalmente dalla grande diversità delle erbe. Alla stalla, se diamo pochi alimenti, l’equilibrio salta e non sappiamo con quali risultati.

Tutti i formaggi gialli sono prodotti con il latte di animali al pascolo?

Il colore giallo non è legato solo al beta-carotene. Si può avere un effetto simile utilizzando lo zafferano o il beta-carotene. In Italia nessuno usa aggiungere beta-carotene. Lo zafferano invece sì. A parte che è semplice capire se c’è la presenza di zafferano, perché si avverte un chiaro retrogusto di cloro, ma il problema si porrebbe porre solo con i formaggi di vacca. E c’è qualche esempio di formaggio giallo prodotto con zafferano e con animali alla stalla. Il Piacentino, formaggio siciliano DOP di pecora, viene prodotto con lo zafferano ma gli animali sono comunque al pascolo. Nel resto del mondo, in alcuni paesi come l’Argentina, Gran Bretagna, USA o l’Olanda spesso si usa aggiungere beta-carotene per rendere più gialla la pasta.

Il giallo, quando la risorsa diventa un handicap

I risultati delle ricerche svolte e che si vanno effettuando in tutto il mondo dicono chiaramente che il pascolo e le erbe sono determinanti nella formazione della qualità. Quindi, con il pascolo ci dobbiamo aspettare una complessità aromatica e nutrizionale importante, che approfondiremo più avanti. Ma le erbe trasmettono al latte anche i carotenoidi che colorano di giallo il latte di vacca e di un verde pallido il latte di pecora. Il latte di capra e di bufala è bianco perché il beta-carotene viene trasformato in Vitamina A, fermo restando che l’effetto sulla composizione aromatica e nutrizionale lo ritroviamo comunque.

I formaggi di animali al pascolo hanno un valore decisamente superiore a quelli di animali che vivono chiusi in stalla. Ma, nella realtà di tutti i gironi, è così? Nei mesi scorsi un’azienda casearia italiana importante ha fatto passare su alcuni canali televisivi un messaggio chiaro e puntuale: se la mozzarella è gialla, scartala, perché è fatta con acido citrico, compra le mozzarelle bianche (naturalmente le sue)! Per la verità quell’azienda non è la sola a pensarla in questo modo. Nell’immaginario collettivo la mozzarella deve essere bianca, il burro idem, tanto che spesso i caseifici, all’approssimarsi della stagione di pascolamento, minacciano gli allevatori che mandano al pascolo gli animali di non ritirare il latte, o ne abbassano il prezzo perché alcuni arrivano anche a decolorare il latte con la clorofilla.

Acidi GrassiNegli anni dell’ottimismo e dello sviluppo, nei famosi anni ottanta, si diceva che dovevamo trasformare l’handicap in una risorsa. Siamo riusciti a trasformare una risorsa in handicap. E purtroppo ancora oggi si vedono spesso formaggi gialli che vengono venduti allo stesso prezzo di quelli bianchi e se qualcuno è stato abbagliato dalla pubblicità dell’azienda sopra citata, opterà per quello bianco convinto anche di essere stato furbo.

I formaggi gialli o di animali al pascolo hanno un valore che va anche al di là delle sue componenti aromatiche e nutrizionali, perché l’animale vive libero all’aperto, in zone sane e pulite. Quando li troviamo, non facciamoceli scappare e se ci vengono offerti a poco prezzo, sappiamo che siamo dei privilegiati a scapito di quei produttori.

Continua...

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