COLTURA DI COPERTURA E PASCOLAMENTO ROTATIVO-INTENSIVO

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Pascolamento intensivo rotativo

Un modo per migliorare l’efficienza mantenendo la qualità?

Parte 3: una sintesi possibile.

 di Francesco Tiezzi, North Carolina University

Nei due articoli precedenti ho provato a proporre (da genetista) il pascolamento rotativo-intensivo come modo per aumentare l’efficienza dei sistemi pastorali, senza però prendere tutto per buono ma cercando di mettere in luce quale potrebbe esserne il problema principale per quel che riguarda la qualità del prodotto finale.

L’antitesi non ha per forza una connotazione negativa ma dovrebbe mettere in luce gli inconvenienti della tesi, possibilmente per arrivare ad una sintesi che porti i vantaggi di entrambi.

Come spesso succede, le soluzioni arrivano da lontano. Ed ecco che, forse, ne sta arrivando una da un contesto abbastanza differente.

Si fa sempre più spazio negli Stati Uniti l’uso delle cover crops, o colture di copertura, tanto che già ricoprono quasi il 5% dell’intera superficie agricola.

Sono colture seminate tra le diverse colture da reddito che si trovano nella rotazione (o nella monocoltura) che poi non vengono raccolte (né per granella né per fieno) ma interrate, schiacciate o interrotte con il diserbo chimico.

Da quel che sento si iniziano a sentir nominare più frequentemente anche in Italia, probabilmente perché il loro uso deriva dallo stesso problema: le eccessive perdite di nutrienti per dilavamento.

Infatti, è negli Stati ad alta densità abitativa e zootecnica degli Stati Uniti che si sono iniziate ad usare maggiormente (Maryland, Delaware, Connecticut, New Jersey, Virginia, Rhode Island; Pennsylvania, Georgia, Maine, Massachusetts e North Carolina) proprio per l’eccessivo carico di nutrienti nei terreni che, unito ai terreni tendenzialmente sabbiosi, portava a problemi di contaminazione delle acque.

In un appezzamento coltivato a monocoltura di mais, si è iniziato quindi a seminare orzo in autunno, che poi veniva schiacciato in primavera prima della semina del mais.

Non si faceva in tempo a raccogliere l’orzo ma si risparmiava il fertilizzante per il mais dato che l’orzo in decomposizione, durante l’estate (umida), rilasciava l’azoto assorbito in inverno.

Quindi, missione compiuta. La coltura di copertura, seminata come intercalare, salvava la qualità delle acque.

Poi, alcuni agricoltori hanno iniziato a notare delle differenze nella scelta della specie da usare come coltura di copertura.

L’orzo e l’avena funzionavano meglio per trattenere l’azoto mentre le crucifere aiutavano a dissodare i terreni pesanti e la veccia aiutava invece ad apportare azoto dove mancasse.

nutrienti Da pochi anni è anche iniziato un programma nazionale di miglioramento genetico delle varietà foraggere per farle diventare da copertura: piuttosto che selezionare per la digeribilità dei tessuti vegetali, si seleziona per la loro non-digeribilità, in modo che la copertura rimanga sul suolo più a lungo.

Il passo successivo è stato quando alcuni agricoltori hanno iniziato a seminare dei miscugli di 2-3-5-10-20 specie: ogni anno e in ogni appezzamento, delle specie prendevano il sopravvento su altre, proprio per le condizioni pedoclimatiche che si trovavano in quel punto e la copertura era assicurata.

Addirittura, i miscugli vengono utilizzati per valutare la disponibilità di nutrienti nel suolo, dato che la presenza (o assenza) di ogni specie è legata a delle precise condizioni.

Quindi, missione compiuta due volte. Basta seminare qualcosa in più per riportare fertilità nel terreno. O forse no.

 

Un terzo passo è stato fatto quando un altro agricoltore ha visto che mancava qualcosa: il letame.

Allora ha comprato dei vitelli e li ha messi a pascolare sulla coltura di copertura. Qui è importante sottolineare che gli animali erano gestiti secondo il pascolamento rotativo-intensivo: ogni giorno in un (piccolo) appezzamento diverso in modo che tutto venisse consumato o, nel peggiore dei casi, schiacciato a terra.

Ecco che non serviva neanche di diserbare o erpicare per distruggere la coltura di copertura, ci pensavano gli animali.

Al limite si entrava nel campo con il trattore e si trinciava quello che non era stato consumato, evitando che le piante rimaste andassero a seme.

Nel frattempo, apportavano letame senza che ci fosse bisogno di trasportarlo dalla stalla al campo. La stalla neanche c’era, perché l’agricoltore comprava i vitelli giusto per il tempo per fare il finissaggio sulla coltura di copertura e poi li rivendeva.

Quando spendeva per alimentarli? Virtualmente niente.

Ecco che si era chiuso il cerchio, dal terreno impoverito dalla monocoltura che veniva fatta per alimentare gli animali a mais nel feedlot, si era passati ad un sistema che rigenerava fertilità alimentando gli animali solamente ad erba, o erbe.

Si trovano diverse testimonianze di agricoltori che sono riusciti a far tornare le loro aziende in attivo grazie a questo radicale cambiamento.

Per di più, si trovano anche aneddoti interessanti.

Un agricoltore dice che è riuscito a far tornare i lombrichi nel campo un tempo gestito a monocoltura di mais, il che probabilmente è stato reso possibile dalla pratica di semina su sodo.

Un altro, ha notato che il consumo energetico per ettaro della mietitrebbia era diminuito quando raccoglieva mais nel quale, tra le file, era stato seminato trifoglio; probabilmente per la ridotta resistenza all’avanzamento su terreno coperto da vegetazione.

Potrebbe essere questa la sintesi tra il pascolamento rotativo-intensivo e la necessità di accedere a miscugli di essenze da parte degli animali?

Ne parleremo nel prossimo articolo.