Le previsioni per il settore caseario non sono delle migliori per l’anno in corso. Il prezzo del latte di tutte le specie, vacca, pecora, capra e bufala, per effetto dell’aumento della produzione e della forza del dollaro, è in ribasso.
Gli allevatori in tutta Europa stanno ritornando nelle piazze a protestare, gli amici messicani mi dicono che il mercato dei formaggi si è fermato perché le esportazioni in USA si sono bloccate. Verrebbe da dire: niente di nuovo, sono almeno venti anni che assistiamo a guerriglie fra allevatori e polizia, ma questa volta la situazione è molto diversa, probabilmente per molti si è arrivati al limite di non ritorno. E questo perché le richieste che vengono avanzate al mondo politico sono non ricevibili, ammesso che abbiano un senso. Si chiedono interventi generici a sostegno e protezione delle frontiere per limitare le importazioni. Ma né il primo né il secondo sono percorribili e comunque non risolverebbero il problema.
Perché c’è questa crisi? Perché nel mondo c’è troppo latte. Il consumatore può permettersi di possedere tre auto, sette telefonini, quattro computer, ma non può mangiare più del dovuto o acquistare merci deperibili oltre il fabbisogno quotidiano. Anzi, si parla spesso e si stanno adottando soluzioni per ridurre lo spreco alimentare. Quindi, la chiusura delle aziende è nell’ordine delle cose. E negli ultimi anni è scomparso qualcosa come l’80% degli allevamenti. Purtroppo questa chiusura non comporta una riduzione della produzione, anzi. Negli ultimi anni c’è stata sempre una relazione negativa fra chiusura e produzione: più le aziende chiudevano e più la produzione aumentava. Il motivo è dovuto al fatto che, quando il prezzo del latte diminuisce, le grandi aziende sono obbligate ad aumentare la produzione per stare nei costi.
Sintomatico è quanto sta succedendo in Sardegna. L’anno scorso, dopo un lungo periodo di deriva, per effetto della lingua blu e della chiusura di un po’ di aziende, il prezzo del latte era schizzato verso l’alto e le celle frigorifere del Pecorino Romano si erano svuotate. Ti saresti aspettato un consolidamento della situazione attraverso un’azione di miglioramento della qualità del latte e dei formaggi. Invece è iniziata subito la corsa all’oro, all’aumento della produzione. Come? Non solo e non tanto con i mangimi ma con l’introduzione di razze a forte produzione di latte: la capra murciano-granadina, le pecore Lacaune e Assaf. Naturalmente questi animali producono molto latte se mangiano in maniera adeguata e alla stalla. L’aumento immediato dell’offerta di latte ha determinato un ristagno dei prezzi e i pastori sono già in fibrillazione. Anche questa volta se la prenderanno con la politica e con gli industriali. Eppure, mai come questa volta è solo colpa loro, dei produttori. Perché importare animali dall’estero? Se il problema è l’eccesso di latte, perché continuare a preoccuparsi solo di aumentare la quantità? E poi, con l’importazione di razze dall’estero, con tutti i problemi sanitari a esse legate?
Si potrebbe dire che lo stesso fenomeno avviene nel mondo del petrolio: all’aumento della produzione c’è una riduzione del prezzo. E più il prezzo diminuisce e più gli Stati sono costretti ad aumentare le trivellazioni. Ma in questo caso a rimetterci sono solo alcuni paesi e comunque per i consumatori è una manna. Di questi tempi fare benzina è un piacere, il pieno costa quasi la metà di solo un anno fa.
Invece nel mondo del latte a rimetterci sono soprattutto i consumatori. L’aumento della quantità comporta sempre un abbassamento della qualità, una riduzione del benessere animale e un aumento dell’impatto ambientale. Io vivo al Sud, dalle nostre parti la mozzarella è il formaggio quotidiano come il pane, ma ormai trovare una mozzarella decente è un’impresa. A volte devi girare tutta le città e devi sperare di essere fortunato.
Il bello è che spesso ci si scandalizza che molti caseifici utilizzano cagliate che vengono dall’estero, pretendendo che si usi latte italiano. Invece molto spesso quelle cagliate sono gialle, provengono da latte di animali al pascolo.
Spero di sbagliarmi, ma di questo passo, fra qualche anno, se vorremo gustare un buon formaggio, dovremo rivolgerci oltre frontiera.