Sono almeno un paio di decenni che lo Stato dà soldi al settore senza contropartite. E fossero almeno contenti!
Roberto Rubino
La chiusura di alberghi e ristoranti ha creato un crollo dei consumi di formaggi e di altri prodotti alimentari. I magazzini, già quasi pieni, hanno tracimato.
Lo Stato non poteva non intervenire e lo ha fatto da par suo, spalleggiato in questo, come sempre, dalle Organizzazioni professionali e dagli stessi operatori.
Per capirci qualcosa, soprattutto per chi non è addentro al settore, dobbiamo tenere separati la causa della malattia e la terapia.
Nel nostro caso, il covid non è la causa, ma solo una concausa, perché questo tipo di intervento, questa terapia viene adottata per il nostro malato settore da almeno una ventina di anni.
Basta mettersi sul sito dell'AGEA e andare indietro nel tempo per vedere, per quante volte e per quante decine di milioni di euro si è intervenuto per assicurare agli indigenti, pezzi da 250 g di formaggi (o altri generei alimentari) DOP e ai produttori, lo svuotamento dei magazzini.
Quindi, il Covid è arrivato a febbraio ma la causa è ed era un'altra: l'eccesso di produzione o meglio lo sbilanciamento fra domanda e offerta.
Non a caso due bandi di gara a favore del formaggi di pecora per 14 milioni di euro sono del 24 è 25 marzo, predisposto non certo per il Covid ma per la crisi del latte in Sardegna; bando peraltro che veniva pubblicato qualche mese dopo un'ulteriore gara a favore del pecorino DOP e datato 29 novembre (ilpuntocoldiretti.it del 9 dicembre 2019) per altri 14 milioni di euro.
Questa volta, grazie al Covid, il bando riguarda anche piccole DOP o formaggi che non avevano mai fatto parte della famiglia dei “soliti noti”: uno per tutti il Ragusano.
A scorrere l'elenco dei formaggi graziati c'è comunque da sorridere, soprattutto se si confronta la produzione con i soldi assegnati.
Al Montasio DOP, a fronte di una produzione 2019 di 6.104 t sono stati attribuiti 1.670.000 di euro; alla Fontina, con 4.000 t, 917.000 €; al caciocavallo Silano DOP, con 932 t, 1.874.000 €; al Pecorino Toscano, la cui produzione è stata di 3.205 t, sono stati assegnati 1.834.000 €, al Ragusano e Pecorino Siciliano, che insieme arrivano appena a 260 t, sono arrivati 1.000.000€.
A parte poi vi sono i bandi che riguardano Parmigiano Reggiano e Grana Padano per somme che arrivano quasi a 10 milioni di euro.
Ma in questo caso parliamo di grandi cifre e di magazzini strapieni.
Però le incongruenze saltano subito agli occhi perché non c'è proporzione fra livello produttivo e somme assegnate.
La Fontina produce 4 volte di più del Caciocavallo Silano e riceve la metà della cifra e le somme assegnate al Pecorino Siciliano e al Ragusano sono sufficienti per svuotare i magazzini.
E stiamo parlando di due formaggi che, a mio avviso, sono fra i migliori d'Italia.
E se pensiamo che le quantità prodotte per questi due formaggi siciliani sono minime, verrebbe da dire irrisorie e, nonostante questo, hanno bisogno dell'intervento dello Stato, allora forse dobbiamo prendere atto che c'è qualcosa di serio che non funziona, che non siamo in grado di capire questo settore e che la cultura casearia di questo paese è al di sotto di ogni sospetto.
E non per gettare benzina sul fuoco, aggiungo che dalla Sardegna, quando hanno visto che il pecorino romano e il Pecorino sardo erano stati esclusi da questo bando sono arrivate note di protesta da tutti i fronti: politici, sindacali e imprenditoriali.
Tutti si sono dimenticati che, come ho riportati all'inizio, il settore ovino aveva abbondantemente approfittato di questa terapia intensiva, perché c'erano state, nei mesi precedenti, ben tre gare dedicate al settore ovino.
Hanno fatto bene? È giusto spendere in questo modo i soldi pubblici?
Il problema, come sempre, non è la terapia, bensì la causa.
O meglio, noi riusciremo a risolvere il problema se arriviamo a cogliere le cause che l'hanno determinato, affinché la terapia possa avere i suoi effetti.
Che questa terapia sia inutile e dannosa lo dice il fatto che il fenomeno si ripete a cadenza quasi biennale da almeno venti anni.
Quindi, visto che parliamo di una gara annunciata, i produttori, le organizzazioni professionali non fanno alcuno sforzo per evitare che la situazione si possa ripetere nel giro di qualche anno, tanto arriverà lo Stato a svuotare i frigoriferi.
E allora a cosa serve?
Da decenni la produzione di latte e non solo è sempre di qualche punto percentuale più alta del livello dei consumi, che pure aumentano annualmente.
Quindi, se la causa è l'eccesso di produzione, allora la terapia potrebbe essere opportuna ed efficace se si dicesse ai Consorzi ed ai produttori: io Stato ti do un contributo per risolvere un problema contingente a patto che tu riduca la produzione e se non lo vuoi fare non tornare con il cappello in mano.
È un ragionamento teorico?
Mi dispiace dover sempre ricorrere ai vicini francesi ma faccio solo notare che negli ultimi anni lo Stato, attraverso l'INAO, l'istituto che controlla le dop francesi, ha imposto ai produttori di cambiare i disciplinari di produzione abbassando la quantità di mangimi per vacca a circa 5 kg/capo/giorno.
In Italia se ne danno due, tre volte di più.
In questo modo si riduce la produzione e si aumenta la qualità del latte. Non solo.
Mi è appena arrivata la rivista Profession Fromager n.92.
C'è un lungo servizio sul Covid. I diversi articoli riportano che tutti, incoraggiati dallo Stato e dall'industria, hanno accettato di abbassare le produzioni di latte e, fra questi, Arnaud Sperat-Czar scrive che: “ a livello istituzionale, il CNIEL(Centro Interprofessionale del latte) ha sbloccato 10 milioni di euro dai propri fondi per attivare un dispositivo di compensazione per gli allevatori che accettano, su base volontaria, di ridurre la loro produzione di aprile dal 2 al 5% rispetto a quella di aprile del 2019, fino ad un massimo di 320 euro per 1000 litri di latte”.
Più chiaro di così!
Quindi, da una parte abbiamo un settore forte, deciso, che ha già programmato il futuro e che ha fatto la scelta della qualità.
Dall'altra, dalla nostra, purtroppo, c'è un settore debole, anche se per la gran parte è localizzato in aree forti, sempre pronto a chiedere aiuti pubblici, che fa una guerra commerciale basata sulla riduzione dei costi e sui prezzi bassi, che non si pone il problema del futuro, della concorrenza, del livello qualitativo.
Quindi, di questo passo e con questo approccio, l'unica scommessa che possiamo fare è su quanti mesi dobbiamo aspettare prima che i produttori chiedano una nuova gara a favore degli indigenti.