Mi apprestavo a degustare un bel piatto di pasta con asparagi quando arriva la solita telefonata di ora di pranzo. Questa volta non è il solito venditore di contratti telefonici, ma Basilio Scocchera.
In genere non rispondo a quest’ora canonica, ma se chiama Basilio il motivo sarà serio. E infatti: “Robè, non sai cosa mi è successo, ho spedito ad un acquirente una fornitura di formaggi di un giallo incredibile e mi sono stati restituiti proprio perché gialli”.
Che è un poco come se qualcuno ti chiedesse delle bollicine, tu gli spedisci una partita di Krug e costui te la restituisse con stizza dicendo che lui si aspettava quel tipo di bollicine che vendono soprattutto nei peggiori bar del Sud e che quando sorseggi sei portato a dire: non ci sono più le gassose di una volta!
Naturalmente i formaggi gialli sono stati mandati allo stesso prezzo dei formaggi bianchi.
Ma in fondo, perché meravigliarsi?
Non più di due, tre anni fa, il famoso Caseificio Francia ha fatto una campagna pubblicitaria per le sue mozzarelle puntando sul colore bianco; una voce fuori campo invitava i consumatori a non consumare quelle gialle perché sono fatte con acido citrico.
I formaggi sono gialli perché i carotenoidi, se gli animali mangiano erba verde, sono al massimo e, poiché con quel tipo di erba aumentano e di molto i composti volatili e i polifenoli, la complessità aromatica e nutrizionale dei formaggi sarà al massimo e di gran lunga superiore a quella dei formaggi “bianchi”. L’acido citrico non c’azzecca niente con il colore.
Ma non siamo il paese che si vanta di avere una grande tradizione casearia e formaggi famosi nel mondo?
Sì, ma a noi piace il racconto agiografico, siamo tutti un po’ narcisisti. A tutti i livelli. Su Agronotizie del 25 maggio, Angelo Gamberini pubblica un articolo il cui titolo è un ossimoro: intensivo è bello (e aiuta l’ambiente).
Che è poi la sintesi di quanto riportato e che l’autore riassume così:” I progressi sono stati enormi, ottimizzando le diete e rendendo più efficienti le produzioni animali. Il che si traduce in minore impatto ambientale, maggior benessere animale, migliore qualità dei prodotti finali”.
A me piace tantissimo la pubblicità del Tavernello: siamo tantissimi produttori, quello che tu trovi semplice per noi non è così facile. Ecco ogni tipo di lavoro merita stima e rispetto, ma se produci il Tavernello non puoi millantare di aver prodotto uno Château o un Barbaresco’.
È pur vero che la scienza, negli ultimi venti anni, si è molto attardata su tematiche che interessano più il solito racconto agiografico che non la sostanza, e mi riferisco alle razze a alle varietà vegetali, però stiamo parlando di prodotti alimentari che noi mangiamo tutti i giorni.
È anche vero che i sistemi intensivi adottano una zootecnia di precisione, altra parola di moda, e che tutto è computerizzato, ma quelle diete tanto bilanciate sono costituite da una sola erba, per lo più insilata o affienata e da una quantità di mangimi enorme, molto più alta dei cugini francesi. E questa dieta gli animali la mangiano tutti i giorni, per tutta la vita.
I nutrizionisti, per noi umani, raccomandano di variare sempre la dieta. Sappiamo anche, per esperienza, perché a tutti sarà capitato di toccare erbe diverse e di notare che l’odore è sempre vario e variabile, che ogni erba apporta composti e sostanze diverse all’organismo e che tutto questo contribuisce a rendere la dieta più completa e a trasferire al latte le molecole odorose e gustative che cambiano completamente il flavour del latte e del formaggio.
Oltre che della carne. Basterebbe saper degustare un burro o una ricotta appena fatta, senza aspettare anni, come si fa con certi formaggi e certi prosciutti, che dopo anni si presentano solo più vecchi.
La differenza in termini di aroma, gusto e valore nutrizionale fra un burro bianco e uno giallo è enorme, dieci, venti volte. Eppure, non solo guardiamo con sospetto il burro giallo ma lo vendiamo o lo compriamo anche allo stesso prezzo. E diciamo e scriviamo che l’intensivo produce qualità. E ne siamo anche convinti, tanto da scriverne.
E tutto questo, nonostante che in questi ultimi anni stiano sorgendo come funghi corsi di laurea in Scienze gastronomiche, nonostante si facciano corsi di degustazione di tutti i tipi, nonostante che la gastronomia sia presente su tutti i media e spesso a sproposito.
Forse è venuto il momento di prendere atto che noi, il paese la cui gastronomia è invidiata da tutti, semplicemente non sappiamo degustare, a tutti i livelli, dai colleghi scienziati, ai gastronomi, alla stampa, ai produttori e ai consumatori.
Solo imparando a riconoscere gli stimoli sensoriali e provando anche ad individuarne le motivazioni che li hanno determinati, potremo dire, parafrasando Totò: se la mozzarella è di Agerola, ma di animali al pascolo, allora comprala, altrimenti, desisti.