La DOP al massimo aiuta i formaggi che fanno grandi volumi, ma per i piccoli produttori è praticamente inutile, un problema in più, perché, il sistema pastorale, che è poi quello che produce formaggi di altissimo livello qualitativo, è completamente abbandonato a sé stesso, senza alcun supporto tecnico e culturale. E stanno scomparendo, mortificati da prezzi eccessivamente bassi dei formaggi.
Roberto Rubino
La famiglia delle DOP casearie italiane continua a crescere: il nuovo arrivato si chiama Pecorino del Monte Poro.
Per molti il nome sarà un illustre sconosciuto, ma in Calabria da tempo questo formaggio si è fatto apprezzare per la sua specificità.
Ed in effetti non ci vuole molto se hai le pecore autoctone, che pascolano su cotiche variegate e segnate da temperature estreme, d’estate molto calde, d’inverno molto fredde, e poi latte crudo e senza fermenti.
Tutti contenti quindi, dalle Organizzazioni professionali, agli imprenditori, agli allevatori.
Io voglio approfittare di questa notizia per allargare il discorso alle DOP in generale e soprattutto a quelle che riguardano produzioni modeste e limitate a piccoli bacini.
Un marchio DOP che, non dimentichiamolo, è europeo, dovrebbe essere di stimolo per gli operatori e i consumatori.
All’origine lo è stato, ma stiamo parlando del 1955, quando ci furono gli accordi di Stresa dove vennero dettate le regole per le prime DOP.
Sono passati 75 anni e l’età si sente tutta. Proviamo a vedere la questione prima dalla parte del consumatore.
Dietro un formaggio DOP c’è un disciplinare che detta regole precise in merito alla tecnica di produzione, alla provenienza del latte.
Quindi il consumatore dovrebbe e potrebbe stare tranquillo.
Vero, ma il problema è proprio il disciplinare.
Cosa c’è scritto? E chi lo ha scritto?
Un buon disciplinare dovrebbe isolare e puntualizzare i fattori che determinano la specificità di quel latte che è parte importante della qualità del formaggio.
Invece quasi mai si parla del latte e, soprattutto dell’alimentazione dell’animale, che è poi alla base della qualità.
Quasi tutti i disciplinari parlano di tecnica di produzione, latte crudo o pastorizzato, fermenti o non fermenti.
Insomma, un formaggio DOP dovrebbe essere l’espressione di un territorio attraverso l’alimentazione degli animali e le erbe autoctone, invece la gran parte di essi rappresentano intere regioni, sono tutti uguali, praticamente l’appiattimento è un valore, non un disvalore.
Basti pensare che, vado a memoria, il 60% della produzione italiana è rappresentata da 4-5 formaggi DOP, ciascuno dei quali si presenta al consumatore con lo stesso prezzo, come se milioni di forme fossero tutte uguali.
E siccome la produzione è sempre superiore ai consumi, le battaglie, con i soldi pubblici, si fanno a colpi di promozione e prezzi bassi e richieste di aiuto per dare le DOP agli indigenti.
Le piccole DOP restano strangolate da questa guerra dei prezzi e il risultato è che formaggi straordinari come il Monte Veronese, il Ragusano, il Fiore Sardo, la stessa Fontina d’alpeggio, per dirne solo alcuni, vengono mortificati con prezzi ridicoli, quasi indecenti.
Quindi, il consumatore non trae vantaggi da una DOP, perché non è il disciplinare a garantire il livello qualitativo.
Il consumatore vorrebbe pagare il giusto un formaggio che se lo merita, ma se ne riesce a cogliere il livello qualitativo.
Ma, ritornando a quelle DOP famose, come si fa a far capire la qualità al consumatore se DOP che tengono gli animali alla stalla, con razioni alimentari più o meno scadenti, si fanno pubblicità parlando di pascoli e facendo vedere vacche all’aperto?
Se si dice che una mozzarella, se è gialla, va scartata perché fatta con acido citrico?
Vediamo ora la questione dalla parte del produttore.
In genere la DOP è utile perché la grande distribuzione vuole garanzie di questo tipo per i prodotti che espone.
Quindi, la DOP serve ai formaggi che fanno grandi volumi, ma è un ossimoro per tutte queste piccole produzioni tipo il Monte Poro, il Pecorino di Filiano, il Canestrato di Moliterno, la Vastedda del Belice, ecc.
La gran parte dei formaggi che si producono con latte di animali al pascolo andrebbe venduta a parte, al limite anche nei supermercati, ma su banconi diversi, direi fisicamente distanti, perché il differenziale di qualità è enorme, e il prezzo dovrebbe esserlo altrettanto. Invece i banconisti li confondono, non sanno nemmeno il perché e figuriamoci se sanno raccontarli.
E poi c’è la questione dei finanziamenti.
Ormai la UE distribuisce incentivi solo a prodotti che hanno marchi europei.
Quindi, c’è sempre la speranza di poter usufruire di finanziamenti per la promozione o lo sviluppo.
Ma, come diceva Seneca, “a che serve la brezza al marinaio se non sa dove dirigere il timone”?
E veniamo allora al problema di queste piccole, ma prestigiose produzioni: il prezzo è troppo basso, troppo allineato alle produzioni da stalla, il cui livello qualitativo è decisamente più basso.
Perché?
Semplifico perché non è questa la sede per fare lunghe e approfondite analisi.
Il settore, tutto, è debole, culturalmente e tecnicamente, ma mentre i grandi si difendono con gli aiuti di Stato e con i grandi numeri, i piccoli sono schiacciati e non hanno la forza nemmeno di sapere cosa chiedere.
Può sembrare un giro di parole vuote, ma se ci riflettiamo bene il piccolo produttore è lasciato a sé stesso, l’assistenza tecnica è sparita e se ha un problema non sa a chi rivolgersi.
Ormai dall’azienda passano solo i rivenditori di mangimi e di fermenti, che fanno anche da consulenti.
Con il risultato che la qualità del latte va peggiorando proprio grazie ai mangimi e ai fermenti.
Andando in giro per aziende e caseifici noto che la gran parte dei formaggi hanno problemi di acidità, ma nessuno ci fa caso.
Il fieno, che è alla base dell’alimentazione invernale e non solo, è scadente, molto scadente, ma quel che è peggio, è che viene considerato più che buono anche dagli alimentaristi, oltre che dagli stessi allevatori.
Quindi, in queste piccole realtà, l’equilibrio è precario perché non supportato da certezze culturali e tecniche.
E’ di questo che hanno bisogno i piccoli allevatori.
Altrimenti spariranno, come stanno scomparendo, per lasciare spazio ai grandi allevatori, che continueranno a produrre più latte, sempre più scadente, a prezzi sempre più bassi, stritolando ancora di più i formaggi di grande qualità.
Quindi, mi permetterei di dire: non di DOP hanno bisogno questi piccoli produttori, ma di assistenza tecnica e di supporto nella valorizzazione di questa specificità.
Perché, qualsiasi marchio, in queste condizioni, è una variabile indipendente.