di Antonio Difalco, Corfilac Regione Siciliana, Ragusa
L’uomo, nel corso dei millenni, dapprima ha considerato casuali alcune trasformazioni che avvenivano negli alimenti, successivamente, ha appreso che erano frutto dell’attività di particolari microrganismi.
Il mondo della caseificazione, infatti, al pari di altri settori delle trasformazioni agro-alimentari, come ad esempio quello dell’enologia, si basa su delle trasformazioni operate da questi microrganismi.
Nel mondo caseario, i batteri rivestono un ruolo primario ed in particolar modo i cosiddetti “filo caseari”, a cui sono ascrivibili i batteri lattici, fautori principali del processo di caseificazione; gli “anticaseari”, invece, sono i responsabili dei difetti dei formaggi, di cui fanno parte agenti che determinano alcuni fenomeni di gonfiore precoce o tardivo: Coliformi, Clostridium, etc..
I batteri lattici (LAB) rappresentano la tipologia dominante nel latte delle diverse specie e grazie a diversi processi metabolici fermentano gli zuccheri (producendo acido lattico), quali il lattosio, determinando da soli o con l’ausilio del caglio, la coagulazione del latte.
Alcuni batteri lattici sono definiti “omo-fermentanti”, il cui metabolita principale è proprio l’acido lattico, altri invece, “etero-fermentanti” che, oltre all’acido lattico, producono acido acetico, etanolo e CO2, che sono portatori di difetti.
Inoltre, all’interno dei batteri lattici, si distingue il gruppo degli “starter” (SLAB) e il gruppo “non starter” (NSLAB). I primi sono gli “iniziatori” del processo di caseificazione, i produttori di acido lattico; mentre i secondi non sono coinvolti tanto nel processo di acidificazione ma quanto nel processo di maturazione del formaggio.
Il pabulum dei fermenti lattici va oltre all’utilizzazione degli zuccheri, ma interessa anche le proteine, i grassi e i sali minerali contenuti nel latte. Questo è un punto cruciale, poiché dalla modalità di “attacco” di questi nutrienti, dipenderà buona parte della riuscita del formaggio, insieme naturalmente al regime alimentare degli animali, come la presenza di pascolo.
Questa diversa capacità di utilizzare i nutrienti del latte è dovuta al fatto che, all’interno dei batteri in generale e del gruppo dei lattici in particolare, c’è una grande biodiversità. Ogni biotipo dunque sarà in grado, in base al proprio metabolismo a produrre molecole diverse: ad esempio alcuni svilupperanno l’aroma di burro (il composto diacetile), altri invece quello di patata (composto metionale), etc.
Inoltre, lo sviluppo di una o di un’altra tipologia di batteri dipende dalle loro specifiche esigenze ambientali, quali ad esempio la temperatura e il pH.
In questo, l’attività dell’uomo è determinante, poiché le varie tipologie vengono modulate in funzione della tecnologia di caseificazione che si vuole adottare.
Come nel caso delle paste cotte, in cui grazie alle alte temperature di cottura della cagliata si svilupperanno i batteri termofili (amanti delle alte temperature), che prediligono temperature di crescita maggiore; nelle paste a coagulazione acida, prevarranno i batteri capaci di resistere a condizioni di pH basso.
In ogni caso, a secondo della tipologia di flora microbica sviluppata, il formaggio cambierà in termini di struttura, tessitura e sapori, odori e aromi.
Il latte crudo ha una grande biodiversità della flora batterica (microbiota) con più di cento biotipi diversi (da Il latte, Composizione microbica del latte crudo); stiamo parlando della Carica Batterica Totale (CBT), che è la sommatoria di diversi generi di batteri, che sono frutto, a loro volta, di una selezione naturale operata dall’ambiente in cui si trovano e di determinate metodiche di produzione.
L’ambiente di stabulazione degli animali è molto significativo in tal senso, come la tipologia di materiale utilizzato per il decubito: se si ha paglia, o sabbia, o il pascolo naturale. La mammella, infatti, a secondo del materiale con cui è a contatto, è colonizzata da una determinata tipologia di microflora.
Tra le metodiche di produzione, l’igiene della mungitura è un fattore importante: la sanificazione o meno delle mammelle prima dell’attacco e dopo l’attacco del gruppo di mungitura; la qualità microbiologica dell’acqua e la quantità di detersivo utilizzati per il lavaggio dell’impianto di mungitura; la durata, la temperatura di stoccaggio del latte nella vasca di refrigerazione (sviluppo di batteri psicrofili, “amanti” del freddo) e le modalità di trasporto del latte, contribuiranno a determinare il microbiota del latte crudo.
Anche l’alimentazione degli animali influenza la tipologia di batteri che colonizzano il latte; ad esempio, la presenza o meno di foraggi insilati nell’azienda e la loro qualità è cruciale sullo sviluppo o meno di batteri in forma sporigena (anticaseari).
Ecco perché, in un formaggio tradizionale prodotto a latte crudo, ritroviamo questa intensa presenza di popolazioni microbiche che, agendo in sinergia, portano alla formazione massiccia dei composti aromatici.
Anche un consumatore poco attento riconosce che un formaggio prodotto dalla piccola azienda x ha dei sapori e dei gusti molto decisi, che tra l’altro sono diversi da quella y; detto in termini più tecnici, ambedue hanno un’elevata tipicità. La qualità microbiologica del latte, essendo legata alle tipologie di batteri presenti, presenta un fattore imprescindibile per l’ottenimento di formaggi di alta qualità.
Nelle lavorazioni tradizionali, queste fermentazioni avvengono con una certa “casualità”, l’uomo è capace di gestirle solo in parte; mentre nelle lavorazioni industriali, esso diventa quasi totalmente il regista di tutto il processo produttivo.
Nelle industrie casearie, si raccolgono ingenti quantità di latte e a volte dalla discussa qualità microbiologica, per cui si procede al trattamento termico di pastorizzazione. Così facendo si ha una distruzione totale (escluse le forme sporigene) della flora batterica totale: sia quella filocasearia che quella anticasearia.
Come ripristinare la flora batterica e poter avviare il processo di caseificazione?
Si aggiungono al latte artificialmente dei fermenti “starter” soprattutto in forma “diretta”, che è quella più diffusa: ossia una concentrazione di batteri in forma liofilizzata e congelata. Questi fermenti sono il risultato dell’isolamento operato dai laboratori specializzati, in cui generalmente, vengono inseriti 3-4 biotipi diversi per coltura, che rispetto ai più di 100 e più che ritroviamo nel il latte crudo, rappresentano un numero irrisorio.
Così facendo, l’industria casearia riesce certamente a standardizzare il prodotto e ottenere una maggiore sicurezza alimentare, ma per contro, si ha un appiattimento del profilo aromatico e nutraceutico dei formaggi, poiché viene interrotto il legame diretto con il terroir. Non per questo, i prodotti industriali vanno demonizzati; sono tuttavia presenti in commercio dei buoni prodotti che sposano ahimè, il gusto dei giovani, spesso non abituati ai gusti veri e decisi dei formaggi a latte crudo.
In questi ultimi anni, questa filosofia industriale è stata in parte emulata da aziende casearie medio-piccole, che involontariamente si mettono in competizione con i grandi colossi caseari.
Questo avviene spesso o per ovviare alla bassa qualità microbiologica del latte lavorato, o per ridurre la tempistica di lavorazione, o perché si va a ricercare una certa standardizzazione dei propri prodotti, maggiore rispetto a quella da formaggi ottenuti tradizionalmente.
Riguardo alla prima motivazione, c’è da dire che una delle funzioni di questi fermenti selezionati è quella di inibire microflore dannose o patogene, sia perché abbassano il pH, sia perché vanno in competizione con esse. È anche vero che rappresenta una cura palliativa, poiché non si risolvono a monte i problemi della qualità del latte; è come se, per risolvere il problema della polvere, la si nascondesse sotto il tappeto.
Il caso peggiore è quello in cui, pur lavorando un latte con una buona qualità microbiologica, non solo si usano i fermenti selezionati ma si adottano anche dei trattamenti termici di termizzazione o di pastorizzazione.
Il problema delle piccole realtà casearie non è quello di voler abbreviare i tempi di lavorazione o di diminuire la forbice di variabilità tra i formaggi, ma proprio la scelta dei trattamenti termici e l’utilizzo dei fermenti di cui si parlava precedentemente.
Ci sono diversi mezzi che rappresentano un connubio tra tradizione e innovazione, come l’utilizzo di colture batteriche autoctone: gli innesti naturali, quali il lattoinnesto ed il sieroinnesto, che si utilizzano a secondo della lavorazione che si vuole fare. In entrambi i casi, la selezione della flora batterica si ha in funzione della temperatura di incubazione; nel primo, si ha selezionando il microbiota del latte crudo, mentre nel secondo, si ottiene dall’incubazione del siero derivante da una caseificazione precedente.
In questi innesti, a differenza dei fermenti starter liofilizzati, la microflora microbica autoctona si sviluppa selezionando dei batteri presenti nel terroir di produzione che sono frutto di una selezione naturale derivata da una specifica tecnologia di caseificazione.
Oppure, in alcune lavorazioni tradizionali, come quella del Ragusano DOP, si prevede l’utilizzo del legno come attrezzatura di caseificazione. In questo caso, la motivazione tecnologica dell’utilizzo del legno è legata alla sua natura e cioè alla porosità che lo caratterizza.
Questo permette alla flora batterica autoctona presente nel latte crudo di colonizzarlo formando un biofilm microbico che sarà ceduto al latte ogni qualvolta si avvia una lavorazione.
Nei grafici sottostanti si evince chiaramente, come il profilo aromatico di un formaggio prodotto da latte pastorizzato con la relativa aggiunta di fermenti starter sia totalmente diverso (in peggio), rispetto a quello di un formaggio prodotto da un latte crudo, come nel Ragusano DOP, in cui si ha un innesto di batteri autoctoni contenuti nel legno.
Profili aromatici, tramite tecnica by SPME (CW-DVB fiber), analizzati by GC/MS/O with HP1 capillary column. Dott.ssa Teresa Rapisarda, Corfilac Regione Siciliana, Ragusa
- A) Cosacavaddu ibleo di quattro mesi di stagionatura ottenuto da latte pastorizzato
- B) Ragusano DOP di quattro mesi di stagionatura ottenuto da latte crudo