Il grano non è tutto uguale. E ne possiamo ipotizzare le motivazioni

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Era datato gennaio 2021 la prima domanda presentata al Gal Irpinia Sannio Cilsi da Franco Ciccone dell’Azienda agricola “il Feudo” e da lì a poco il progetto “Nobili cereali” avrebbe iniziato a prendere forma.

Nel gruppo operativo anche l’azienda di Enza Fiordelisi di Calitri e quella di Antonio Marra di Sant’Angelo dei Lombardi, entrambi in provincia di Avellino, mentre la direzione scientifica veniva affidata al CREA-Centro di Ricerca Cerealicoltura e Colture Industriali di Foggia.

Tutti per dimostrare che il Metodo Me.No ideato dall’Associazione Formaggi sotto il cielo (Anfosc), potesse essere virtuoso anche nella produzione delle aziende cerealicole.

“Dieci anni fa nasceva il Latte Nobile, un modello produttivo che basa la sua diversità su una alimentazione degli animali più equilibrata, con più erba di specie diverse e meno concentrati. I consumatori ne hanno riconosciuto la differenza e il Latte Nobile è subito stato apprezzato e richiesto. Ma se l’alimentazione fa la differenza nel latte e nella carne, va da sé che la stessa regola vale anche per i vegetali e per i cereali” – dice Roberto Rubino coordinatore del progetto e presidente di Anfosc.

Che si fa allora per capire da cosa dipende la qualità di un cereale? E per dimostrare che è proprio dalla sua qualità che dipende anche il gusto?

“Volevamo capire anzitutto se esisteva un rapporto di causa-effetto tra la resa per ettaro dei cereali e la loro qualità” , per farlo, allora, sui  terreni messi a disposizione dall’azienda Ciccone sono stati seminati due campi di orzo (Hordeum vulgare)  ognuno con un differente potenziale produttivo, la semina del farro dicocco (Triticum dicoccum), invece, in quelli di Fiordelisi  e il grano duro (Triticum durum) nell’azienda di Marra. A differenziare le terre, però, non solo un diverso impatto produttivo, ma anche una diversa conduzione agronomica, prevedendo l’utilizzo dell’azoto solo sui suoli dove la resa per ettaro era maggiore.

L’ambizione non era da poco: dimostrare come in culture basilari per l’alimentazione umana come i cereali  il contenuto dei polifenoli  tendessero ad aumentare in condizioni di minore somministrazione di azoto alle colture rispetto alle colture industrializzate.

Ma perché proprio i polifenoli?

“Molta letteratura scientifica sembra confermare che i composti a più alto peso molecolare siano i principali responsabili della persistenza del gusto. Tra questi un  ruolo determinante è sicuramente da attribuire ad alcune classi di polifenoli, come i tannini, i flavonoidi e gli acidi fenolici” – osserva Donatella Bianca Maria Ficco responsabile scientifico del CREA di Foggia.

Un dato che troverebbe già un consolidato riscontro in altre tipologie di prodotti “e quindi si è tentato di dimostrarlo  su tre specie di cereali, come farro, frumento e orzo”.

Ci sono voluti quasi tre anni di ricerche, esami e degustazioni e anche se si è ancora lontani dal poter dimostrare con certezza che il rapporto gusto/polifenoli sia in grado di incidere sulle caratteristiche organolettiche di questi grani, i risultati preliminari, quale risultanza del progetto concluso, potrebbero far sperare.

“Sugli alimenti provenienti dalle coltivazioni virtuose è stato riscontro un numero superiore di metaboliti come beta carotene, CLA, omega 3, e, soprattutto, di polifenoli” – dice Rubino.

“Il dato più rilevante che è emerso ha riguardato gli acidi fenolici maggiormente presenti nella cariosside di frumento duro” – continua Ficco, ma una maggiore comparazione tra più varietà risulta necessaria per capire “se tali differenze siano riscontrabili anche nei composti fenolici, nel loro profilo, e nei pigmenti carotenoidi”.

In un progetto a latere il CREA ha provato ad andare anche oltre, comparando gruppi di grani antichi e moderni prima in frumento duro e poi nel farro dicocco e nell’orzo, i cui risultati sperimentali (in attesa di validazione su un set più grande di campioni) dimostrano quanto i primi, pur essendo meno produttivi, presentano un contenuto  di polifenoli più elevato, la cui incidenza sul gusto è stata, poi, appurata attraverso la trasformazione di alcuni dei  grani selezionati in biscotti dal gusto sensibilmente incisivo.

In questi anni molto è stato comunque comunicato, con oltre trenta degustazioni itineranti condotte nel territorio campano, dimostrando che una differenza in termini di gusto esiste.

Lo si è fatto attraverso comparazioni alla cieca, con lo stesso degustatore chiamato ad assaporare, inconsapevolmente, paste o pani prodotti da grani ottenuti da coltivazioni più o meno intensive e arrivando quasi sempre a preferire, in termini di sapore, quel cibo “virtuoso”, con una maggiore presenza di polifenoli.

Viene allora da pensare che aldilà dei risultati scientifici, è, o potrebbe essere, proprio la materia prima il volano della qualità.

Materia allora che quindi non può (e non deve) essere considerata tutta allo stesso modo “e invece la sua borsa merci direbbe il contrario” – con un valore iniziale del grano che è sempre uguale, finendo di pagare lo stesso prezzo a prescindere dal genotipo e dalla sua modalità di coltivazione.

La differenziazione di prezzo voluta dal mercato, la si vede, invece, sugli scaffali, con un’idea di qualità ( e quindi di costo maggiore) incentrata tutta sulle diversa modalità di lavorazione. Eppure a sentir parlare Rubino una trafilatura al bronzo o una pasta a lenta essicazione non è indice di qualità “perché non conferisce né aroma né gusto al cibo”.

Se il mercato invoglia a simili convinzioni il progetto “Nobile cereali” spinge invece all’origine del tutto. Alla materia prima e a una sua produzione meno intensiva. L’unica che, secondo Anfosc, oltre ad incidere  sull’aroma (carotenoidi e flavonoidi) e sul gusto (polifenoli) “porta anche ad un aumento del valore nutrizionale”. I dati sono già stati verificati sul latte “il metodo Me.No nel latte migliora il rapporto Omega6/omega3, che scende sotto 4, mentre nei sistemi intensivi è oltre 10; migliora il rapporto grassi saturi/grassi insaturi, che nei sistemi intensivi è circa 70/30, nel ME.NO è 60/40; così come è di gran lunga migliore il GPA -Grado di Protezione Antiossidante- che nel ME.NO è 15, contro 4-5 dei sistemi intensivi”. Che sia vero anche nel grano?