IL PANE, ANCHE IN CASA, SI FA CON LA FARINA!

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Pane e farina

Abbiamo preso lo stesso vizio dei pastai e dei fornai: parliamo solo di tecnica di produzione e mai della farina e del grano. E così tutto sarà casuale; riusciremo solo a dominare la struttura del pane. E il profumo, il gusto da cosa dipendono?

Di questi giorni, sui siti e sui media, si fa un gran parlare del nuovo sport nazionale: il pane fatto in casa.

Pane fatto in casaIn effetti, non solo bisogna industriarsi per passare il tempo, ma il pane si consuma tutti i giorni e, salvo rare eccezioni, non si può uscire troppo spesso.

E allora la cosa più accessibile alla stragrande maggioranza delle persone è stata quella di riscoprire l’antica usanza di fare il pane in casa.

Anche perché le istruzioni si trovano facilmente su internet, anzi ormai si fa a gara a postare ricette e foto dei risultati ottenuti.

Con l’arrivo della foto poi la domanda d’obbligo è: che lievito hai usato, e che dose?

E poi: e la temperatura del fornoQuante ore di lievitazione?  E che farine hai usato?

Dopo qualche giorno, i supermercati esauriscono il lievito e allora, dappertutto e anche in televisione, tutti a dare consigli sul lievito madre.

Se usi un acido e una base potrai, in un paio di giorni, ottenere il lievito madre, che è bel altra cosa rispetto al lievito di birra.

E per le farine? In fondo il pane e la pasta si fanno con le farine.  

Qui si rimane sul vago: ho fatto una miscela, ho usato quelle che avevo o che ho trovato, preferisco aggiungere la Manitoba perché più proteica, e comunque, se non vuoi sbagliare, fai una miscela.

E visto che non hai mai le stesse quantità delle stesse farine, le miscele non saranno mai uguali. E non riuscirai mai a capire da cosa dipenda il risultato finale.

All’inizio avevo pensato che in fondo, uno dei vantaggi di questo isolamento avrebbe potuto essere quello di una maggiore conoscenza del misterioso mondo dei lievitati.

Mi sono accorto invece che tutto rimarrà come prima e che continueremo a sentire le solite, banali frasi: la pasta è trafilata in bronzo ed essiccata lentamente, il pane si fa con lievito madre e nel forno a legna.

Non si parla mai della farina e del grano.

Per la verità, se anche volessimo testare le farine, non avremmo gli strumenti conoscitivi per esercitare la scelta.

Sull’etichetta c’è solo la percentuale di proteina e, in qualche caso la “forza”.

Ma, ricordando l’aforisma di Seneca: a che serve la brezza al marinaio se non sa dove dirigere il timone, perché dobbiamo saper leggere le etichette?

Per ottenere quale risultato?

Chiunque produca qualcosa alla fine vuole ottenere un prodotto le cui specificità siano quelle che lui ha in testa, perché sa dominare i fattori della produzione.

Nel nostro caso vogliamo o vorremmo dominare l’intensità dell’aroma e del gusto, che non deve essere mai casuale, ma quasi gestito a tavolino.

La proteina, la tecnica di produzione sono responsabili della struttura del pane (e della pasta) ma non del flavour, che invece dipende dalla farina.

Ma le etichette, così come sono concepite, non ci aiutano, anzi sono inutili. Un solo dato ci potrebbe tornare utile: la resa per ettaro del grano.

Perché è la resa che ci dà il livello di concentrazione delle molecole odorose e gustative.

È la stessa regola che vale nel mondo del vino: se abbassi la resa per ettaro aumenti il livello qualitativo dell’uva e del vino.

E se così è, ecco che questo modo di fare il pane è un’occasione sprecata.

Avendo tanto tempo a disposizione e la possibilità di fare prove, perché non concentrarsi sulle farine?

Ma come, se le etichette non ci dicono granché?

Mettendo a confronto farine industriali con quelle locali, di piccoli produttori, oppure le farine biologiche che, non sempre, ma spesso, sono di livello superiore.

Perché è molto probabile che i piccoli produttori, quelli che fanno biologico, abbiano basse rese per ettaro, mente i mulini industriali, dovendo avendo bisogno di grandi quantità, sono costretti a rivolgersi a produttori che riescono ad ottenere rese molto elevate.

Ci potrà essere l’accezione, ma in questo caso questa generalizzazione ci può bastare.

Meglio ancora se riusciamo a fare questo confronto in contemporanea, usando la stessa dose di lievito e lo stesso tempo di cottura.

E poi facendo la degustazione alla cieca, in maniera da non essere condizionati dal nome del produttore della farina.

Così facendo, non solo avremo imparato qualcosa, ma avremmo qualcosa da insegnare agli stessi produttori e industriali, che, al momento, non sanno di non sapere. Mica male!