10 Giu. 2019, 03:00 | a cura di Roberto Rubino
SE SAPORE E QUALITÀ DEL PRODOTTO SONO STRETTAMENTE LEGATI, PERCHÉ NON CODIFICARE UN MODELLO PRODUTTIVO CHE VALORIZZI ENTRAMBI?
Mangiare è un atto agricolo…
Wendell Barry (2015) nel suo libro, “Mangiare è un atto agricolo”, sostiene che “mangiare è anche e soprattutto un atto agricolo, e implica scelte che spesso vengono delegate in nome della fretta e dell’impossibilità di accesso. La scelta politica di non accettare un cibo industriale, o di ridurne al massimo la sua arroganza nella vita quotidiana, dona una dimensione meno passiva al nostro esistere”.
…o un atto industriale?
Tutto vero, tutto auspicabile, ma al momento attuale, se la materia prima è una commodity e se il prezzo è drammaticamente unico per tutti, allora vuol dire che (sic stantibus rebus) mangiare resta oggi comunque un atto industriale. Perché è l’industria che decide, in base a parametri tecnologi e industriali, quale materia prima utilizzare, e la relazione fra quella materia prima e la qualità è nulla o casuale. Occorre un modello diverso, che basi la sua diversità su un livello qualitativo della materia prima certo, certificabile e credibile.
Se sappiamo quali parametri misurare e i fattori che ne determinano il livello, allora possiamo proporre ai consumatori un prodotto la cui qualità non sarà casuale ma definita e programmata a tavolino. Per questo abbiamo cercato di approfondire l’origine del sapore e delle qualità organolettiche e nutrizionali dei prodotti, evidenziando il loro legame con il processo produttivo seguito, lo abbiamo analizzato nel miele, nelle uova, nel latte, nella birra.
Il metodo Latte Nobile: un modello
Con queste premesse, circa dieci anni fa, abbiamo avviato il metodo Latte Nobile, un modello che consentiva di ottenere un latte che si discostasse dal panorama attuale (dove tutto è uguale e di modesta qualità, salvo il prezzo variabile in funzione dell’auto esaltazione di ogni singolo marchio) e che sapesse offrire al consumatore un latte certamente di qualità superiore. I risultati ci hanno dato ragione. Il consumatore, non tutti naturalmente ma quelli attenti ai profumi e ai sapori, hanno dimostrato di accettarlo e di ricercarlo. Il vantaggio? I consumatori aspettano quel latte in cui riconoscono un sapore d’altri tempi, i produttori ricevono un prezzo che è quasi il doppio di quello del mercato.
Metodo Nobile: da modello in metodo
E se la regola vale per tutti, perché non estendere il modello a tutte le materie prime? È esattamente quello che abbiamo fatto. È nato il Metodo Nobile®, il cui messaggio, ben sintetizzato dal nostro designer Enzo Tenore, è: “meglio Me.No”, dove “me.no” diventa un acronimo di Metodo Nobile.
Naturalmente, una cosa è la consapevolezza di una regola e altro è trasformare il tutto in un modello di sviluppo. Di modelli implementati negli ultimi decenni e supportati da una montagna di denaro “son piene le fosse”. In fondo se stiamo ancora qui a chiederci cosa fare per lo sviluppo delle aree deboli vuol dire che i soldi non servono o non sono sufficienti per avviare lo sviluppo.
Se l’obiettivo è quello di offrire al consumatore un prodotto il cui livello qualitativo sia certo e certificato, allora il modello da perseguire e da attivare dovrebbe essere il seguente: per prima cosa si definisce e si mette a punto il disciplinare di produzione, si registra il marchio, poi i produttori che vogliono aderire si uniscono in Consorzio che deve avere come obiettivo quella della Tutela e valorizzazione del Marchio Me.no e si individua una struttura di certificazione che salvaguardi il consumatore e gli stessi produttori.
L’esigenza di un disciplinare per il Metodo Nobile
Come si fa un disciplinare che riguardi tutte le materie prime? Pensiamo al grano. Si coltiva in tutto il mondo, in aree diverse per orografia e suolo e con centinaia di varietà implicate. I livelli produttivi vanno da una decina di quintali per ettaro a più di cento. Dove porre l’asticella? La questione non è semplice, anzi è complessa, ma non può diventare essa stessa un limite e una condizione per non andare avanti. Abbiamo allora pensato di partire con due opzioni e vincoli.
Ambiente, salute e diserbanti
La prima opzione riguarda l’ambiente e la salute. Non si può continuare a usare diserbanti che minano la vitalità dei suoli. Quindi, visto che l’obiettivo è quello di ridurre la produzione, è perfettamente inutile inquinare e spendere questi soldi. Così li abbiamo semplicemente vietati.
Abbassare le produzioni
Resta poi la questione di abbassare le produzioni: Di quanto? Se ci fosse una media, nazionale o regionale, sarebbe facile, ma non c’è. Allora abbiamo pensato di indicare dei limiti laddove ci fossero delle medie standard o storiche e invece di lasciare ai produttori la scelta delle tecniche di produzione per portare i livelli produttivi ad almeno il 50% in meno di quelli della zona. Per questo abbiamo limitato al minimo i concimi, soprattutto quelli naturali e ridotto drasticamente l’uso dell’acqua.
Certo non è facile, ma “ogni lunga marcia presuppone un primo passo” e l’importante è partire. In corso d’opera, mano a mano che si vanno acquisendo conoscenza e potenzialità dei diversi ambienti, si potranno ridefinire e migliorare i disciplinari.
Forse, con questo modello, ora Barry avrebbe tutte le ragioni per poter dire: mangiare è un atto agricolo.
Metodo intensivo e società
Nel mondo il modello di riferimento è quello intensivo. È quello che detta le regole e che fa cultura. Questo modello ha automaticamente relegato come povero e poco affidabile il modello estensivo, che è presente in tutto il mondo e, in alcune aree, quasi dominante. Il primo è ammirato, osannato, copiato e incentivato; il secondo arranca, cerca di difendersi ma riesce a stento a sopravvivere. E comunque è poco apprezzato a volte dagli stessi produttori. Ma se la qualità dipende dal livello produttivo, appare chiaro ed evidente che è il secondo che rispetta la natura e che è in grado di offrire prodotti eccellenti.
Paesi in via di sviluppo e metodi agricoli
Si parla da anni dei paesi poveri, emergenti, in via di sviluppo. Si sostengono questi paesi con sforzi economici a volte importanti. Ma non si fa un passo avanti. Eppure, se solo riconoscessimo alle loro produzioni il giusto valore e il giusto prezzo, credo che non ci sarebbe bisogno di continuare nella politica dell’elemosina. Addirittura si potrebbe dire che il semplice riconoscimento del loro valore sarebbe di per sé un grande passo culturale e morale. Quindi i primi a beneficiarne sarebbero questi paesi, dove naturalmente si coltivano materie prime senza interventi chimici e senza forzature.
Ma l’agricoltura dei paesi industrializzati non è tutta uguale. In qualsiasi paese ci sono aree dove i contadini preferiscono o sono obbligati a coltivare con più moderazione. Ma rischiano di scomparire, perché non ricevono un prezzo adeguato.
Consumatori
E, soprattutto, saranno i consumatori a beneficiarne, perché anch’essi non sono tutti uguali. C’è chi non da importanza al cibo, mangia qualsiasi cosa senza chiedersi perché. Ma c’è chi fa del cibo un argomento culturale, un momento di riflessione e di compiacimento. E ormai il cibo costa talmente poco che pagare qualcosa in più non è affatto un peso sul bilancio familiare. E poi il cibo è cultura, viaggio, ricordi.
Solo così possiamo veramente legare il prodotto al territorio, perché quella materia prima non sarà buona perché “mia” o prodotta a Km zero, ma perché fatta bene, nel rispetto del suolo, dell’ambiente e della salute di tutti.
a cura di Roberto Rubino