di Roberto Rubino
Il settore lattiero-caseario è di nuovo in agitazione.
La clausura obbligatoria e la chiusura della ristorazione ha provocato il crollo delle vendite dei formaggi e non solo e le ripercussioni non si sono fatte attendere. Il prezzo del latte sta calando e i magazzini sono strapieni.Giuste le preoccupazioni degli allevatori e dei caseifici.
Occorre fare qualcosa, inventarsi qualche soluzione, individuare un modello percorribile.
In precedenti e analoghe occasioni si andava a Roma, che prontamente interveniva con i famosi decreti in favore delle persone indigenti, alle quali venivano destinati formaggi DOP per cifre che superavano i dieci milioni di euro, ma questa volta è probabile che da quel lato non si abbia alcuna possibilità di ricevere ascolto.
Ci aspetteremmo un dibattito, delle proposte che andassero anche al di là dell’emergenza, visto che queste crisi sono abbastanza cicliche, ma mai come in questo momento le Organizzazioni professionali, sempre pronte a cavalcare l’onda, non danno segni di vita.
Men che meno si esprime il mondo della ricerca, gli economisti agrari, il sistema dei servizi.
È di questi giorni la notizia che il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha preso l’iniziativa di ritirare dal mercato 350.000 forme, che saranno conservate nei magazzini, fatte stagionare più a lungo e reimmesse progressivamente sul mercato quando sarà possibile ottenere una remunerazione adeguata. In più, il Consorzio limiterà ulteriormente le quote di produzione stabilite per il triennio.
La situazione non è diversa per gli altri formaggi: la riduzione dei consumi ha obbligato i caseifici a prolungare la stagionatura dei formaggi riempiendo ulteriormente i magazzini.
Tutto qui, tutti sono in attesa di un ritorno alla normalità, ma chi consumerà poi tutti quei formaggi?
Anche perché, nel frattempo, la produzione non diminuirà di certo. Un’altra proposta era circolata qualche settimana fa: si parlava addirittura di immaginare DOP di serie B, di mettere cioè in commercio gli stessi formaggi a stagionatura ridotta. Insomma, l’unica soluzione che il mondo caseario sembra proporre è un cambio di stagionatura.
Il settore incomincia a pagare un conto per problemi che per troppi anni ha fatto finta di non vedere. Sono almeno un paio di decenni che la produzione di latte aumenta più del consumo.
E questo nonostante che, nello stesso periodo, le stalle abbiano subito un tracollo di quasi il 70%. Va da sé che tutto questo è stato ottenuto sia aumentando il numero di capi per azienda, con ripercussione sulla fertilità del suolo e sia la produzione per capo, con evidenti risvolti negativi sulla qualità del latte e sul benessere animale. Ma questo è il minimo.
Premetto che stiamo parlando di formaggi DOP, di formaggi cioè prodotti con latte che obbligatoriamente deve provenire dal territorio previsto dal disciplinare; quindi, il latte estero non incide sul problema.
Ora, l’eccesso annuale di produzione ha comportato che ciclicamente, ogni due, tre anni, il settore andasse in crisi, i magazzini straripassero.
La reazione era un dejà vu: immediata la reazione delle Organizzazioni Professionali, il Ministro dell’Agricoltura di turno non poteva non intervenire, e subito veniva emanato un decreto per la destinazione alle popolazioni indigenti di quote enormi di formaggi DOP. E di questo beneficiavano i due Grana, il Pecorino Romano e credo anche l’Asiago e il Gorgonzola.
Ora, possiamo capire l’emergenza, una volta può capitare, ma se poi diventa un’abitudine gli effetti sono devastanti.
A livello economico (centinaio di milioni di euro), a livello culturale (restiamo convinti di essere i più restiamo i più bravi anche se abbiamo bisogno di sostegno) e a livello di immagine (la ricca pianura padana che non conosce altra strada se non l’aiuto economico).
Ci spieghiamo così perché il settore è incapace di immaginare nuove soluzioni, soluzioni che vadano oltre l’emergenza, per ritornare” più forti che pria”.
E quale può essere la o una delle soluzioni?
Io mi limiterei, per una volta, ad osservare cosa ha fatto la Francia in questi ultimi dieci anni. Ed a fare esattamente la stessa cosa.
In Francia lo Stato, quando nacquero le DIOP, fondò l’INAO (Istituto nazionale delle denominazioni di origine), una struttura statale che controlla le denominazioni e le assiste.
Quando si sono accorti che la situazione andava peggiorando, che oltre ad un aumento della produzione di latte c’era una deriva della qualità, hanno incominciato a stimolare, a spingere, quasi a costringere i Consorzi di tutela a restringere i disciplinari per arrivare ad una avere sia una limitazione della produzione e sia un innalzamento della qualità.
Allo stato attuale e dopo contrasti anche duri, quasi tutti i disciplinari, fra le tanti voci, hanno messo paletti precisi all’alimentazione degli animali, che è poi il fattore vincolante e condizionante la quantità e la qualità del latte. Per quasi tutti i formaggi c’è l’obbligo del pascolo e, a prescindere, la quota mangimi non può superare i 1800 kg/capo/anno. E non sto parlando di formaggi di poco conto.
Un solo esempio: il Cantal, che era il più industriale dei formaggi francesi e molto rappresentativo del patrimonio caseario, per anni si è opposto, non voleva cambiare il disciplinare nel senso indicato dall’INAO, ma alla fine è stato costretto a cedere, pena la perdita della DOP. Il disciplinare approvato nel 2018 prevede l’obbligo del pascolo, nel periodo in cui è possibile e la quota mangimi di 1800 kg.
Tanto per far capire a chi non è addentro al settore cosa significhi portare la quota mangimi a 1800 kg/anno, rispetto all’attuale che, nei nostri sistemi intensivi può essere da due a tre volte superiore, provo a dare due numeri: il rapporto omega6/omega3 si dimezza, scende sotto 4 mentre ora veleggia da 8 a 15: il Grado di Protezione Antiossidante, che è sopra 15, nei sistemi intensivi è sotto 5; la componente odorosa e gustativa è molto più importante, i formaggi hanno una personalità spiccata.
Ma, al di là se in Italia gli allevatori e i Consorzi avranno la forza per rimettere in discussione il loro sistema di produzione, al di là che l’Italia è rimasto l’unico paese al mondo ad avere un legge sull’Alta qualità (169/89), che permette di marchiare come”” Alta qualità” un latte prodotto nei sistemi intensivi, che rimane una contraddizione in termini, la cosa certa è che il livello qualitativo dei formaggi francesi sta aumentando terribilmente, mentre il nostro diminuisce sempre più.
Con questo soggetti e con questi formaggi dovremo competere sul mercato mondiale?
È il caso di dire: se non ora, quando?