IN SARDEGNA IL MODELLO DI SVILUPPO PASTORALE AGGANCIATO ALLA DOP DEL PECORINO ROMANO E’ ANDATO OLTRE I TEMPI STORICI CHE L’HANNO DETERMINATO.

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IN IL MODELLO DI SVILUPPO PASTORALE AGGANCIATO ALLA DOP DEL PECORINO ROMANO E' ANDATO OLTRE I TEMPI STORICI CHE L'HANNO DETERMINATO. OCCORRE ANDARE IN UN'ALTRA DIREZIONE.

Le cause vere o presunte

In Sardegna il modello pastorale agganciato alla DOP del Pecorino Romano è arrivato al capolinea. L'imputato storico è lo sbilanciamento fra domanda e offerta. Si asserisce che il Pecorino Romano, che fa da traino a tutti gli altri formaggi sardi, sistematicamente si ritrovi con un eccesso di produzione che non riesce a smaltire. Di qui il crollo dei prezzi.

A questo punto le domande da porsi sono due: perché tutta la produzione sarda si aggancia al Pecorino Romano, che di suo è già debole? E poi, chi l'ha detto che c'è una superproduzione di formaggi pecorini?

In Sardegna diminuiscono progressivamente e patrimonio ovino. Tutto il latte prodotto è miscelato per produrre formaggi che si chiamano tutti “pecorino”, e che sono più o meno tutti termizzati o pastorizzati, e messi in frigorifero in attesa di essere venduti. In pratica, oltre al Pecorino Romano, anche se in minima parte, si fanno altre tipologie di formaggi ma tutti vanno nella stessa fascia di mercato, che è quella medio-bassa, perché la miscela del latte e la tecnica casearia adottata non permettono di ottenere grandi formaggi. Quindi, quella fascia di mercato è ingolfata non dal Pecorino Romano, ma dall'insieme dell'offerta. Non è vero che non c'è mercato per i pecorini, ma è chiaro che la stessa tipologia non può pretendere un mercato elastico. È' essa stessa causa del problema.

In Sardegna il prezzo del latte è unico, uguale per tutti. Ma anche il latte è uguale? Certo che no!

Ciascun pastore riceve un prezzo per il latte prodotto che non è mai pari alla sua qualità: chi sta sopra alla media è penalizzato e chi sta sotto, teoricamente, premiato. Se ci siamo abituati a pensare che il latte sia tutto uguale, ci siamo staccati dalle nostre radici, non riusciamo a capire cosa e dove è la qualità, non disponiamo del vocabolario per poterla produrre e raccontare.

Bisogna approfittare di questa crisi e fare l'equivalente di quello che ha fatto il del vino dopo lo scandalo del metanolo: formaggi di qualità, di grande qualità.

Bisogna quindi andare nella direzione opposta. Come?

Se il latte non è uguale come misuriamo le differenze?

Il latte, il formaggio, ma qualsiasi materia prima (grano, , ecc.), sono degli alimenti e che prediligiamo o rifiutiamo perché hanno un odore e un sapore. Entrambi dipendono da quello che mangia l'animale. Più erba c'è nella razione e più erbe ci sono nel o nel fieno e più il latte è di qualità. I mangimi hanno solo un effetto diluizione: aumentano la quantità ma ne diminuiscono il contenuto. Quindi, in assoluto, il miglior latte si fa con animali che pascolano su prati naturali, con un numero elevato di erbe e senza mangimi. Per passare ad un nuovo modello produttivo, nella fase di partenza, si potrebbero attivare tre classi di qualità di latte di valore e, naturalmente, prezzi diversi.

  1. Pascolo naturale e senza mangimi;

2.Pascolo naturale con mangimi,

  1. Erbaio con mangimi.

Ammettiamo che la terza classe venga destinata al Pecorino Romano e ad altri formaggi pastorizzati, le altre due ci potrebbero permettere di ipotizzare livelli superiori, anche molto superiori. Perché un formaggio non deve costare 50, 100 euro, visto che ormai anche i prosciutti, oltre che i vini, viaggiano verso le centinaia di euro?

Il latte deve essere lavorato crudo e senza fermenti aggiunti, solo siero-innesto e poi vanno stagionati in locali naturali, non in celle frigorifere. Nel mondo, i grandi formaggi maturano lentamente e in maniera perfetta nelle miniere, nelle grotte, nei bunker, in qualsiasi cosa che somigli a un locale naturale: Il Roquefort, il Cabrales, lo Stilton, la , il Ragusano, il Comtè, ecc. La Sardegna ha locali sotterranei eccezionali, perché non recuperarli? Potrebbe essere anche una buona opportunità per tanti giovani in cerca di lavoro. Il latte c'è, deve essere solo pagato il giusto ai pastori.

Il ruolo della Regione Sardegna

Chi e come coprire i costi di quest'operazione? Naturalmente il volano di quest'operazione devono essere i trasformatori, piccoli o grandi non importa. Sappiamo che separare il latte aumenta leggermente i costi e di questo si deve far carico l'industria. Occorrerà separare le linee di produzione, ma sarà solo un problema di manodopera. Sappiamo anche che non basta fare un grande formaggio, bisogna venderlo anche a un prezzo “grande”.
Ed ecco che a questo punto interviene la Regione Sardegna. Occorre predisporre ed emanare un piano d' che si può sintetizzare in tre punti.

  1. Incentivi alle aziende per avviare linee di produzione per formaggi la cui diversità sia basata esclusivamente sulla materia prima;
  2. Incentivi per il ripristino, la riconversione e la valorizzazione di locali naturali di ;
  3. Una campagna promozionale intensa, mirata, che crei l'attesa del formaggio che sta per arrivare sui mercati mondiali, un'azione sul territorio per valorizzare il carrello del formaggio, e tutte le iniziative atte a far conoscere tale diversità.

Con un progetto del genere si respirerebbe un'aria nuova e la sua realizzazione non costerebbe un'enormità. Ciascuno proverà a dare il massimo perché l'obiettivo è stimolante, la sfida è affasciante. Ma più di tutti saranno contenti i consumatori, i turisti. Venire in Sardegna e non trovare un posto dove si possa fare una comparata, una verticale non per anni di stagionatura, ma per classi di qualità, è per molti una delusione difficile da spiegare in una delle regioni d'europa a più alta vocazione pastorale.

Oggi una cosa è certa: se ci limitiamo ancora una volta a mettere pezze al vecchio modello, senza cambiare, la prossima crisi è già alle porte.
Roberto Rubino
Consorzio ME.NO.
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