Girovagando su Scolar Google alla ricerca delle ultime pubblicazioni sul gusto trovo un lavoro, appena pubblicato da due cinesi dell’Università dell’Ohio (Z. Wu, K. Zhao), sulle papille gustative e sulla loro ipotesi che queste abbiano una struttura porosa.
In sostanza le papille gustative funzionerebbero come una spugna e, quindi, la velocità di passaggio delle molecole (loro hanno lavorato solo sul dolce) sarebbe determinata dal volume della molecola.
Io avevo ipotizzato che la persistenza in bocca fosse determinata dal peso molecolare e comunque, a questo punto, il discorso diventa interessante, perché riusciamo a spiegarci meglio il meccanismo della trasmissione e della percezione delle sensazioni gustative.
Contemporaneamente mi arriva una mail di un amico, che coinvolgo sempre in questi erramenti che, avendo letto sul Domenicale del Sole 24 ore la recensione del libro “Gastronomia consapevole” di Rosalia Cavalieri, mi scrive: “qui invece siamo alle “argomentazioni da bar che il Mulino pubblica e il Sole recensisce”.
Leggo la recensione e gli rispondo che, in fondo, l’autore dice cose condivisibili, però prometto di comprare il libro. Vado su Amazon e vedo che l’autrice di libri sull’argomento ne ha scritti parecchi e allora compro anche “la passione del gusto”, visto che avevo appena letto la pubblicazione sulle papille spugnose e la “foresta di alghe” (così immaginano gli autori la superficie della lingua per far meglio comprendere il meccanismo di entrata del cibo nelle papille).
Li leggo tutti e due e non mi resta che confermare quanto gli avevo sintetizzato dopo aver letto la recensione.
Premetto che non voglio scrivere un’altra recensione perché non è il mio mestiere, ma siccome l’autrice è una persona bene informata dei fatti, quello che dice mi permette di fare un ragionamento più generale sul gusto e sulla gastronomia.
La Cavalieri fa un excursus sulla gastronomia ed elenca problemi noti e condivisibili da chi segue questo settore. Inizia da Aristotele, passando da Brillant-Savarin, per finire a Petrini per mettere sul piatto le enormi contraddizioni del settore: siamo passati da una agricoltura di sussistenza ad una iper specializzata, metà popolazione vive in povertà e l’altra metà è sovrappeso, c’è cibo di grande livello e junk food, l’agricoltura intensiva ha distrutto l’ambiente e la qualità del cibo, per fortuna che c’è un rinascimento grazie a Slow Food, che ha sdoganato la parola gastronomia anche se oggi non si fa che parlare di cucina in ogni angolo del pianeta.
Tutto condivisibile e anche la soluzione proposta: imparare a degustare, la gastronomia va insegnata già dalle scuole elementari, i corsi tipo sommelier vanno moltiplicati perché solo un consumatore capace di selezionare e scegliere con cognizione di causa può incidere su una realtà che si va degradando sempre più. In fondo possiamo dire che ha fatto una fotografia perfetta, ed anche ben scritta, del pensiero dominante.
Io avrei solo due osservazioni da fare, anche per motivi di spazio. La prima riguarda l’analisi e soprattutto la ricerca delle cause che hanno determinato questa situazione. La soluzione indicata è la formazione permanente. Ma i corsi di enogastronomia si tengono da trenta anni e non solo non è cambiato alcunché anzi la qualità delle materie prime è peggiorata, tanto che se entriamo nei supermercati, trovare un cibo che abbia sapore è un’impresa ardua. E ancora, a fronte di una gastronomia mediocre, noi continuiamo a vantarci della nostra cucina e della nostra agricoltura, novelli Candide a spasso fra le prelibatezze.
Ma poi c’è una seconda motivazione molto tecnica. Se dobbiamo insegnare la gastronomia, saremo costretti a parlare di materie prime e di qualità. È’ già incomincia a sorgere il primo problema.
Se la materia prima ha livelli qualitativi diversi, dovrebbe essere pagata in relazione al proprio livello.
Ma allora perché il prezzo delle materie prime è tutto uguale? Da noi al Sud molto spesso la frutta e verdura si vende tutta allo stesso prezzo (1 euro, qualche volta 1,50). Quindi, dobbiamo prendere atto che non conosciamo le materie prime, tutti ne parlano soprattutto i cuochi, che sono i primi a non conoscerle.
Anche perché se tutto non è uguale, da cosa dipende questa differenza?
Anche in questo caso si sa poco: tutti si sono buttati sulla genetica, sulle razze e sulle varietà (se nell’articolo potessi aggiungere un emoticon sorridente, scriverei anche “tutti razzisti a loro insaputa), non a caso la genetica è diventata una branca dell’ideologia e comunque non sappiamo come ottenere un buon legume o una buona carne e così via. Non solo. Ma noi dobbiamo fare corsi di degustazione.
Bene, e allora cosa sappiamo del gusto? Come si misura?
Si dice che sia soggettivo ma la scienza deve essere oggettiva. Non conosciamo le molecole responsabili, o meglio, sappiamo che sono tante ma non sappiamo come si misurano e cosa si debba misurare.
Continuiamo a parlare di cinque gusti base, ma nessuno di questi ci permette di raccontare il gusto di qualsiasi cibo. Un formaggio può essere leggermente o molto acido, poco o molto salato, e poi amaro o poco amaro, dolce o affatto, ma non per questo ha più o meno gusto.
Nessuno mangerebbe un formaggio molto acido, molto salato ecc. Un formaggio invece banale può essere molto acido, amaro, un poco dolce e poco salato. Perfetto, ma banale. Insomma, non c’è relazione fra i gusti base e il gusto del prodotto.
Quindi c’è un po’ di confusione anche sulla terminologia da usare. E nel frattempo dagli Stati Uniti ci dicono che le papille gustative non solo non sono specifiche per ciascun gusto base ma hanno la funzione di intercettare e decidere l’ingresso delle singole molecole.
La materia è complessa e, per me, la madre di tutti i problemi resta il prezzo unico della materia prima. O si scioglie questo nodo, oppure saremo destinati ad uno stato di agiografia perenne che non farà che acuire il problema, invece di risolverlo.
Rosalia Cavalieri (2016). La passione del gusto. Il Mulino, pag. 144.
Rosalia Cavalieri (2020). Gastronomia consapevle. Il Mulino, pag.181.
Zhenxing Wu, Kai Zhao(2020).Taste of time: A porous-medium model for human tongue surface with implications for early taste perception. PLoS Comput Biol 16(6): e1007888.