LA ZOOTECNIA LANGUE, NOI STIAMO A GUARDARE ASPETTANDO GODOT, ALTRI SI SONO ORGANIZZATI METTENDO MANO AI DISICPLINARI DI PRODUZIONE DEI FORMAGGI
Nel mondo, il trend in discesa dell’agricoltura sembra inarrestabile, e il Covid non farà che accelerarne la velocità.
Perché questo declino?
Perché da decenni l’aumento della produzione è sempre superiore all’aumento dei consumi.
Quindi, non c’è scampo, ogni anno una parte delle aziende deve chiudere. Chi chiude?
Chiudono le aziende piccole, quelle che hanno scelto di fare le cose per bene, dove per bene intendo produrre nel rispetto dell’ambiente e del benessere animale; insomma, un modello poco intensivo e una qualità del prodotto di tutto rispetto.
Però siccome il prezzo della materia prima è unico e i costi dei sistemi intensivi sono più bassi, va da sé che a chiudere sono i sistemi poco intensivi.
Un paese in cui la parola programmazione avesse un senso compiuto, proverebbe almeno a gestire questa realtà non modificabile.
Non è meglio che chiudano poche, grandi, aziende che molte, piccole, aziende?
E invece ogni anno ne muoiono molte piccole e le grandi diventano sempre più grandi, aumentando così la produzione e il problema della superproduzione a livello mondiale.
Guardiamo il caso della zootecnica. In Italia due sono gli argomenti all’ordine del giorno del dibattito culturale.
Si fa per dire, culturale è una parola grossa, sembrano più baruffe chiozzotte.
La Coldiretti difende a spada tratta l’italianità della materia prima, ha preteso una legge in questa direzione dalla EU ma tutto finirà in una bolla di sapone.
E poi i nostri intellettuali di turno stanno cercando di capire come opporsi al nuovo programma comunitario “from farm to fork”, programma che auspica una forte riduzione della zootecnica e delle proteine animali, in favore di proteine vegetali.
Il massimo dello sforzo che stiamo producendo è quello di dimostrare che le proteine animali fanno bene, facendo finta di non capire che il motivo dell’avversione riguarda l’impatto ambientale, il rapporto perverso che mantengono gli allevamenti intensivi con l’ambiente e la qualità delle produzioni.
Quindi, ai fatti della storia e della EU rispondiamo con le parole, con i proclami, con la difesa ad oltranza dell’italianità.
Le cose che ho finora scritto non sono una novità e ne avrei fatto volentieri a meno se non mi fossi imbattuto in una relazione di Hulin e coll (2019) sulla situazione in Francia dei disciplinari dei formaggi DOP, a seguito di un vasto programma nazionale avviato nel 2012,- ebbene sì, da quelle parti i programmi e le idee ci sono e si perseguono-, il cui principale obiettivo era quello di raggiungere l’autonomia alimentare negli allevamenti.
Che c’entrano i disciplinari con l’autonomia alimentare?
In Italia, niente, anche perché pochissimi disciplinari parlano di alimentazione e quei pochi si limitano a marginali distinguo.
Invece in Francia tutti i disciplinari danno molta importanza al sistema di alimentazione e poi, se un obiettivo viene traferito in un disciplinare, si è sicuri che il risultato sarà nell’ordine delle cose.
Perché la Francia ha voluto aumentare l’autonomia alimentare?
Per ridurre l’impatto ambientale degli allevamenti, per aumentare l’approvvigionamento aziendale e il legame con il territorio, per migliorare il benessere animale e la qualità delle produzioni. In definitiva per potenziare ancora di più l’immagine di una Francia virtuosa e capace di immettere sul mercato prodotti di grande qualità.
In sintesi, a distanza di 6-7 anni dall’inizio del programma, questi sono i risultati evidenziati dagli autori.
A. Ogni disciplinare è stato costretto ad inserire almeno una norma direttamente legata all’autonomia alimentare del gregge
a. 41 DOP (89%) hanno fissato una soglia massima di acquisto fuori zona di produzione
b. 11 DOP (24%) hanno fissato una soglia massima di acquisto di concentrati extra aziendali.
B. Consumo di alimenti complementari
a. 40 DOP (87%) hanno posto un limite ai concentrati per animale e per anno
b. Vacche: 1800-2000 Kg per vacca o 25-35% di apporto giornaliero di sostanza secca
c. Capre: 270-550 Kg o, 30-50%dell’apporto giornaliero:
d. Pecore: 0,8 Kg al giorno.
C. Il ruolo dei pascoli
a. 36 DOP (78%) hanno posto come obbligo del pascolo da 120 a 240 giorni (il 59% ha optato per un pascolamento medio di 150 giorni).
b. 7 DOP hanno posto l’obbligo di pascolo continuo se le condizioni metereologiche lo consentono.
D. Fertilizzazione dei suoli
Sulla fertilizzazione, 22 disciplinari (48%) hanno disposto che la fertilizzazione minerale non deve superare le 50-60 unità di azoto per ettaro.
E. La natura delle risorse foraggere
a. 6 DOP hanno definito nei dettagli la percentuale minima di prati permanenti o semi-naturali
b. 4 DOP hanno vietato i prati artificiali monospecifici
c. 24 DOP hanno vietato gli insilati.
In definitiva:
- 100% hanno riportato nel disciplinare i criteri espliciti legati all’autonomia alimentare.
- il 96% hanno adottato criteri legati alla limitazione di concentrati
- Il 78% obbliga di valorizzare i pascoli
- Il 67% ha vietato direttamente o indirettamente gli insilati
- Il 48% ha ridotto l’uso di fertilizzanti
- Il 33% ha specificato la natura delle risorse foraggere (prati, pascoli)
Certo, l’Italia non è la Francia, loro hanno il doppio del nostro territorio, ma da noi non solo non c’è un programma ancorché sgangherato, ma nemmeno un’idea per capire in che direzione il settore debba andare.
Da noi si fa un uso massiccio di concentrati e di fertilizzanti, i prati permanenti sono quasi scomparsi e i fieni sono nella stragrande maggioranza dei casi prodotti da erbai mono o bifidi. Oltre ad essere mediamente di bassa qualità.
Quindi, non solo l’impatto ambientale dei nostri allevamenti è di gran lunga superiore a quello francese, ma la qualità delle produzioni si allontanerà sempre più da quella francese.
Ma è pur vero che questo sarà un mio chiodo fisso, anche perché tutti vantano il nostro patrimonio caseario e la nostra straordinaria carne.
Però tutti stanno aspettando il prossimo decreto del Mipaf che a scadenza quasi annuale dispone di distribuire alle popolazioni indigenti i nostri formaggi DOP, svuotando così i magazzini dei nostri rinomati formaggi. Uno scherzetto che ogni anno, in media, ci costa svariate decine di milioni di euro.
Noblesse obblige!