Nel Novecento aspettavamo Godot, ora qualsiasi notizia riguardante soluzioni per la salvezza del pianeta ha diritto di precedenza su altre forse più importanti.
Il Venerdì di Repubblica del 6 maggio riporta un'intervista che il giornalista Giuliano Aluffi ha fatto ad Andrew McAfee, economista del MIT di Boston e il cui titolo la dice tutta sulla chiave di lettura che si utilizza per lasciare immaginare soluzioni che sembrano a porta di mano o cosa fatta.
L'attacco dell'articolo non sembra lasciare dubbi:
” Greta può cominciare a tirare un sospiro di sollievo, l'Occidente, almeno sul fronte del consumo delle risorse, procede nella direzione giusta. E il nostro impatto sul Pianeta sta diventando sempre più lieve: è vero che produciamo sempre di più ma, in quasi tutte le nazioni benestanti dell'Occidente, lo facciamo con minor uso di risorse naturali rispetto al passato. A sostenerlo è l'analisi del tutto controcorrente proposta nel saggio. Di più con meno (Egea) di McAfee”.
In pratica l'economista sostiene che oggi riusciamo a produrre di più consumando meno risorse naturali.
Non ho letto il libro e quindi non so se l'autore che avuto modo di fornire dati più precisi per dare una spiegazione alle conclusioni cui è giunto, appena posso lo comprerò, ma già questo articolo fornisce spunti per una valutazione dell'approccio che McAfee ha utilizzato.
Incominciamo dal titolo: Di più con meno.
Produciamo di più con meno risorse grazie alle innovazioni in agricoltura.
Non mi sembra un novità.
Intorno all'anno mille venne inventato l'aratro versoio, la prima rivoluzione agricola.
Con l'aratro normale il contadino, arrivato alla fine del campo, non poteva ritorna indietro arando, perché avrebbe ricoperto di nuovo il terreno appena smosso dall'aratro, quindi doveva tornare indietro a vuoto.
L'aratro versoio invece permetteva di ritornare arando, perché la lama si poteva girare a 180°. In pratica la produttività era stata raddoppiata.
E poi vennero l'invenzione del giogo alla groppa, la rotazione triennale e molto dopo le macchine agricole, i fertilizzanti e la produttività è andata aumentando.
Nel caso del grano, al tempo dei romani, Columella riporta che si poteva arrivare anche ad avere una resa di 6 volte il seme utilizzato: se seminavi 100 kg per ettaro ne potevi raccogliere anche 6.
Naturalmente tutto dipendeva dall'annata e dalla possibilità di utilizzare il letame.
Oggi, con le macchine e con un modesto apporto di fertilizzanti si può arrivare ad una resa di 10, con i fertilizzanti e con i diserbanti, anche 20.
Dobbiamo pensare però che a quel tempo il clima era più caldo e che la fertilità del suolo era più bassa perché non c'era la rotazione, o meglio, l'unica rotazione era il riposo ad anni alterni e che l'uso del letame non era molto diffuso.
Lo stesso vale per le vacche.
Le vacche che pascolano tutto l'anno su cotiche naturali e nel bosco, situazione non molto diversa da quella dell'epoca romana, producono un vitello e 5-6 quintali di latte, senza alcun costo di gestione, salvo la custodia.
Oggi una vacca può arrivare a produrre 100q, anche se la media è sui 40 quintali, quindi dieci volte la nostra vaccarella di montagna, ma con costi altissimi dovuti all'alimentazione, alle spese veterinarie, elevatissime, alla rimonta (la vacca va al macello dopo 3-4 parti), allo stesso smaltimento delle carcasse.
Nel caso del latte quindi la produttività è quasi dieci volte superiore negli allevamenti intensivi rispetto a quelli molto estensivi.
Ma i costi non sono certo inferiori, anzi sono di gran lunga superiori.
Forse anche se il costo si riporta a litro di latte prodotto.
Ma è tutta qui L'analisi?
E gli effetti sull'ambiente e sulla qualità non si devono prendere in considerazione? Non hanno dei costi?
La meccanizzazione, l'uso dell'aratro, i diserbanti, le concimazioni abbondanti, l'irrigazione, oltre al dispendio energetico non hanno un impatto fortemente negativo sull'ambiente, sulle acque, sul suolo?
E, soprattutto, come la mettiamo con la qualità?
Da un grano che sfiora i cento quintali per ettaro, a parte i dubbi sui rischi di celiachia, non possiamo non aspettarci un pane o una pasta inodori e insapori; da un latte di una vacca che fa 70 litri al giorno avremo un formaggio anonimo, senza gusto e aroma, in pratica, senza personalità.
E del valore nutrizionali dei cibi ne vogliamo parlare?
Dell'effetto diluizione che le molecole che ne sono responsabili subiscono quando la produzione aumenta?
Quindi, con l'agricoltura di precisione e intensiva abbiamo sì una produttività più elevata, ma non a meno costi, soprattutto se nella lista inseriamo i costi ambientali e gli effetti negativi sulla qualità nutrizionali ed edonistica delle materie prime.
Ritornando al titolo del libro, io preferirei un libro con lo stesso titolo, ma con obiettivi diversi: Di più(qualità) con meno (interventi).