In questi giorni è stata resa nota la circolare AGEA 176 del 31 marzo 2016, in merito al “Sostegno accoppiato per i bovini da latte”. Fra le tante disposizioni, quelle che più mi hanno colpito riguardano l’igiene del latte. La verifica di ammissibilità all’aiuto della Misura 1, richiesto nella domanda unica di pagamento, prevede, fra gli altri, i seguenti controlli: a) che la media geometrica semplice sui dati delle analisi relativi al tenore di cellule somatiche (per ml) sia inferiore a 300.000; b) che la media geometrica semplice sui dati delle analisi relativi al tenore di germi a 30° C (per ml) sia inferiore a 40.000; c) che la media aritmetica semplice sui dati delle analisi relative al tenore di materia proteica sia superiore a 3,35%.
Lasciamo perdere la proteina, che al massimo influenza la resa in formaggio, quindi non c’entra con l’igiene e la qualità, ma perché abbassare ulteriormente il limite per le cellule somatiche e la carica batterica?
Cerchiamo di capire quale è la situazione. In Francia da alcuni anni si stanno ponendo il problema della deriva della diversità microbica. Il 15 marzo sì è tenuto a Parigi un importante convegno, dove sono stati presentati i dati della situazione e alcune proposte per eliminare i problemi che la riduzione della carica batterica sta provocando. Marie-Christine Montel, una brava ricercatrice dell’INRA di Aurillac, ha detto che in uno studio effettuato nel 2014 hanno inventariato nei latti crudi di 50 località diverse della Francia 300 specie batteriche diverse e 74 specie di lieviti. Tutta questa ricchezza sta sparendo perché ormai i latti hanno una carica batterica al di sotto di 10.000. In questa situazione, anche se il caseificio lavora a latte crudo, è costretto a usare i fermenti, o meglio un fermento, perché sempre di uno solo si tratta. Per di più è lo stesso fermento che si usa in tutti i caseifici che il mercante di fermenti riesce a raggiungere. Quindi, addio diversità, tipicità, e qualità dei formaggi. Ma i francesi non si limitano solo al lamento, sport nazionale da quest’altra parte delle Alpi. Hanno testato e attivato procedimenti volti a mantenere alto il livello di presenza dei batteri lattici e dei lieviti. Non solo scoraggiano la conservazione del latte a 4°C, ma spingono per una prefermentazione del latte per almeno 12 ore. I responsabili della DOP del Comté, uno dei formaggi più importanti di Francia, hanno concordato con gli allevatori che la temperatura di refrigerazione del latte deve essere intorno ai 12°C e che il latte deve sostare almeno 12-24 ore prima di essere avviato al caseifico.
Insomma, il problema esiste ed hanno studiato la soluzione per attenuare o annullare gli effetti.
Noi non solo non ce ne siamo accorti che il latte è praticamente morto, ma facciamo di quella morte lo strumento della nostra sopravvivenza. Cosa sarà successo e chi ha preso quella decisione? Non certo l’industria, la tanto vituperata industria. L’industria casearia italiana non si è mai posta il problema della qualità del latte, anche perché poi in caseificio tutto si pastorizza, si aggiungono fermenti, se è pasta filata si usa acido citrico e vai con un impacchettamento accattivante e con la pubblicità che molto spesso utilizza foto o immagini di animali al pascolo e ben in salute (i miraggi esistono non solo nel deserto). In Francia anche grandi caseifici industriali lavorano a latte crudo, moulè a la louche (messa in forma a mano), senza fermenti. Quindi non è dall’industria che ci possiamo aspettare qualcosa in negativo o in positivo.
E allora sono i soliti noti, quelli che già rientrano in quei parametri di carica batterica e cellule somatiche e che vedono in quello strumento l’unico modo per restare a galla a spese dei piccoli, della montagna, di chi fa le cose per bene e fa qualità. Perché i soliti noti? Perché sono gli stessi che hanno preteso la legge 169/89 dell’”Alta Qualità” del latte. Si fecero una legge “ad aziendam” per frenare le importazioni di latte dall’estero. Il delirio di onnipotenza fu tale che pretesero anche che quel latte fosse definito di Alta Qualità. Cioè il latte dei sistemi intensivi, con animali legati e con un’alimentazione pessima, che per definizione sarebbe fra i peggiori, dal giorno della promulgazione della legge è diventato di “Alta Qualità”, mentre gli altri invece hanno dovuto chiudere o accontentarsi di un prezzo più basso. Naturalmente l’industria guardava da un’altra parte.
Siccome adesso qualcuno ha capito il gioco delle tre carte, a costoro non è rimasto altro che riproporre il vecchio trucco: una circolare che protegga chi è dentro a certi parametri e lasci fuori gli altri. Mors tua vita mea, no?
E poi sono gli stessi che fanno scioperi, bloccano le frontiere, dicendo che il nostro latte è il migliore mentre quello dei vicini è il peggiore.