Le etichette attuali non danno alcuna informazione ai consumatori e sono un incubo per i piccoli produttori, perché le regole sono sempre contorte e fuorvianti. È venuto il momento di inventare un’etichetta semplice ed efficace.
In questi giorni ciascuno di noi si chiede come dovrebbe cambiare il settore a cui appartiene o a cui fa riferimento.
Per me due sono le cose da cambiare nell’agroalimentare: il prezzo unico delle materie prime e l’etichetta.
Sul prezzo unico ho scritto decine di articoli e so anche che niente cambierà, soprattutto perché i primi a non volerlo cambiare sono i produttori.
Invece sull’etichetta si può ragionare, perché proprio l’etichetta è la loro perenne spada di Damocle.
Proviamo a vedere il problema visto dalla parte dei produttori e dei consumatori.
Per la grande azienda l’etichetta è uno strumento efficace di promozione.
Con le leggi attuali e con buoni avvocati alle spalle, riesce a trasformare in risorsa anche il più grande handicap, tanto che i prodotti industriali ce li raccontano come parole miracolose.
Per i piccoli invece sono un incubo, perché non sanno come fare e i tecnici a cui possono accedere, che devono pagare, non sono dei grandi esperti.
Non si sa mai se quello che hai scritto è lecito, se devi togliere qualcosa o se puoi aggiungere.
Proviamo ora a vedere se e a che serve ai consumatori.
Nel caso specifico, a me vengono in mente tre tipologie di consumatori: quelli attenti all’aspetto salutistico, quelli che guardano solo il prezzo e quelli attenti alla qualità.
Spesso nei supermercati si incontra gente che legge l’etichetta.
In genere la prima cosa che queste persone vanno a guardare sono le calorie e poi se ci sono zucchero o uova (colesterolo).
Quindi, in fondo l’unica cosa che veramente interessa sono le calorie.
Eppure, ci sono tante altre informazioni alla voce ingredienti.
Servono?
Non credo, quante lauree deve avere un consumatore?
Torniamo al banco della gastronomia.
Alla domanda: quale prosciutto o quale mortadella o quale formaggio da grattugiare vuole, le risposte possono essere due: quello in offerta o il più caro.
Chi non si fa problemi di qualità o deve ridurre al minimo i costi, non ha scelta, compra quello che c’è in offerta.
Ma chi vuole comprare un prodotto di qualità come si regola?
E questo vale anche per il banco del pesce, della carne e dell’ortofrutta. Insomma, un po’ per tutto.
Le etichetta non ci aiutano, anzi.
Solo nei formaggi c’è un dato che è un ottimo indicatore di qualità del latte di partenza e mi riferisco al valore dei grassi saturi.
Di suo non dice niente, ma se dividiamo i grassi saturi con quelli totali e moltiplichiamo il tutto per cento abbiamo un numero che ci dice quale è il livello qualitativo del latte.
In genere esce 70(%) e questa percentuale più è bassa e meglio è; se scende a 50, stiamo già parlando di animali al pascolo.
Tutto qui, per il resto le etichette non ci dicono niente.
E allora tanto vale chiedere quello che costa di più, anche perché c’è talmente tanta poca differenza fra il prodotto che costa meno e quello che costa di più che, almeno, in questo modo le probabilità che quel prodotto sia il migliore sono alte.
E soprattutto le probabilità che quello che costa meno ha un livello qualitativo basso, sono altrettanto alte.
Quindi, dall’etichetta non ricaviamo alcuna informazione sul livello qualitativo del prodotto.
Ma c’è un’alternativa?
C’è qualcosa che se riportata in etichetta ci aiuterebbe?
Certo che c’è: la resa per ettaro della materia prima, la produzione di latte per capo al giorno o, per la carne, se alimentazione è a base di erba o di concentrati.
Quindi, con un solo dato, che non occupa spazio, noi potremmo scegliere il livello qualitativo che vogliamo.
Pagandolo, a quel punto il giusto, senza spaventarci che costa molto, perché siamo stati noi ad averlo cercato.
Quindi, come dovrebbe essere l’etichetta?
Premesso che lo Stato garantisce la salubrità di tutti gli alimenti e la loro tracciabilità, sull’etichetta, per soddisfare le esigenze della stragrande maggioranza dei consumatori, andrebbero scritte due solo cose: le calorie (a me non interessano ma a tante persone, sì) e la resa per ettaro, caso mai con vicino l’indicazione la resa media nazionale (così subito si capisce il livello qualitativo).
Tutto qui. In fondo potremmo copiare le etichette del vino: produttore, locali e solfiti.
Una etichetta semplice, chiunque può produrla e stamparla, ogni produttore ha etichette diverse per lo stesso vitigno, che vende a prezzi diversi.
Il consumatore compra e se gradisce, ritorna a comprarlo, se no, cambia.
Se non ora quando?