INVECE SERVONO MODELLI ALTERNATIVI A QUELLO INTENSIVO E IL BIOLOGICO HA INDICATO LA STRADA.
di Roberto Rubino
È sabato, la calura si fa sentire, cosa c'è di meglio che rifugiarsi all'ombra di un lentisco e scorrere il giornale. Oggi La Repubblica ha l'inserto D (n.1099) con un articolo che attira subito la mia attenzione. In primo luogo perché parla di agricoltura e in secondo perché a scriverlo è la scienziata Elena Cattaneo. Non capita spesso, anzi è rarissimo che un settimale faccia scrivere di agricoltura e per di più ad una scienziata. Mi accingo a leggere, ma il titolo è già tutto un programma: “il biologico? Sì, fa bene. Ma solo a chi lo produce”. So bene che i titoli non li fa l'autore, ma in questo caso è ben fatto e sintetizza molto bene il testo. Lungi da me l'idea di difendere il biologico, ho scritto più volte quali sono i limiti ma anche ne ho messo in risalto gli aspetti positivi, ma qui se ne parla solo in negativo e le proposte alternative sono peggiori del male.
Cattaneo sostiene che si produce biologico essenzialmente per intascare i contributi pubblici. E fin qui, ci siamo, è vero, anche se non completamente. Il modello biologico esiste da almeno trenta anni ma solo negli ultimi anni è riuscito parzialmente a sfondare. Perché solo adesso? Perché il modello intensivo è andato in crisi, c'è troppo materia prima nel mondo è l'unico modello alternativo a disposizione è, purtroppo, solo quello biologico. Pur di non chiudere, molte aziende sono state costrette, obtorto collo, a passare al biologico. Modello questo che non ha mai promesso una qualità superiore della materia prima, ma solo un minor impatto sull'ambiente e sul prodotto coltivato. E questo perché il biologico è figlio dello stesso modello, dell'intensivo, che ha come principio base la massimizzazione della produzione al costo più basso. Di qui la borsa merci, di qui un prezzo mondiale che non è mai legato alla qualità ma all'andamento del mercato, alle speculazioni finanziarie, alle condizioni climatiche. E se tutta la materia prima è uguale, non solo il consumatore comprerà il prodotto che costa meno ma nessuno, né il produttore e né il consumatore, avrà a disposizione la chiave di lettura per misurare i parametri e i fattori che ne determinano la qualità.
A sostegno della sua tesi Cattaneo aggiunge che: “poiché i campi biologici producono molto poco, a parità di prodotto (più costoso), serve più terreno agricolo, circa il 40% in più. La Rivoluzione verde ha dimostrato che l'agricoltura intensiva più sostenibile è quella intensiva. Grazie ai nuovi fertilizzanti, agli agrofarmaci e alla meccanizzazione la resa del frumento è quadruplicata, con la conseguente possibilità di sfamare più persone, senza che in parallelo aumentasse la superficie coltivata”.
È cosa arcinota che le popolazioni che muoiono di fame è perché non hanno i soldi per comprare il cibo e non perché questo sia scarso. Anzi, c'è uno spreco enorme e nel mondo i prezzi vengono mantenuti bassi da un eccesso di produzione. Quindi, il problema resta il modello intensivo. Potrei fare l'esempio della produzione zootecnica, che conosco meglio ma possiamo restare anche al grano, che vive lo stesso problema del latte. Se la produzione è quadruplicata, la qualità non può non averne risentito. Se quadruplichiamo la produzione di uva per ettaro, come possiamo sperare di avere lo stesso vino? E perché nel grano dovrebbe essere diverso? I formaggi recuperano qualità solo se l'animale produce meno latte. La regola della natura è concentrazione/diluizione. Se la resa in grano è altissima le molecole che presiedono all'odore a al sapore, oltre che al valore nutrizionale, si riducono ai minimi termini. E parlo dei terpeni, dei carotenoidi, dei fenoli e dei flavonoidi, il cui ruolo è più importante di quello che si pensi. Per questo il pane non sa di niente e la pasta peggio si sente.
Qui non si tratta di ritornare all'antico, come lascia intravvedere Cattaneo, ma di offrire ai consumatori una alternativa. Io so come scegliere i formaggi perché conosco bene questo mondo, ma come mi devo regolare per la pasta, per il riso, per la carne, se il prezzo è tutto uguale? Non solo, ma chi come me e la Cattaneo di professione fanno gli studiosi, cosa devono studiare per offrire ai consumatori e ai produttori la chiave di lettura per acquisti mirati?
Quindi è il modello unico che è in crisi e ne usciamo, nel senso che non ci sarà più bisogno di sovvenzionare le agricolture dei paesi ricchi(anche perché quelle dei paesi poveri non conoscono nemmeno il senso di questa parola)se al modello unico affianchiamo altri modelli, per permettere ai consumatori di poter scegliere fra una gamma di prodotti molto ampia. Poi ciascuno si regolerà in funzione del suo palato, della sua tasca e delle sue tentazioni. Perché anche i consumatori non sono tutti uguali.
Quindi, vanno bene il modello intensivo e quello biologico, ma vogliamo modelli più rispettosi della natura, meno impattanti e soprattutto, che ci permettono di alimentarci meglio.