UN BUON FIENO CONDIZIONA LA QUALITA’ DI LATTE E CARNE. COME E PERCHE.
I tempi sono maturi per affrontare e sviluppare la “questione” fieno, perché questa tematica è scomparsa dall’agenda pubblica e privata. Con questo articolo iniziamo una serie di interventi articolati in maniera tale da offrire ai nostri lettori i suggerimenti più opportuni per arrivare ad ottenere dei fieni di buona qualità.
di Federico Infascelli, Pietro Lombardi, Raffaella Tudisco e Nadia Musco. Università di Napoli
La qualità del fieno influisce su quella delle derrate degli animali ai quali viene somministrato, soprattutto se questo rappresenta buona parte della razione.
Lo scopo della fienagione è quello di limitare al massimo i fenomeni degenerativi della sostanza organica, riducendo il contenuto in acqua del foraggio verde.
Comunque essa venga effettuata – fienagione tradizionale, esclusivamente in campo con il foraggio sfalciato e lasciato essiccare fino al raggiungimento di circa l’80% di sostanza secca, o in due tempi, con un periodo iniziale in campo e un successivo processo di essiccazione in fienili dotati di ventilatori –non è scevra da perdite di sostanze nutritive da attribuire a molteplici fattori:
- respirazione cellulare (che si protrae finché il foraggio non raggiunge il 60% di S.S.): i glucidi in presenza di ossigeno vengono trasformati in anidride carbonica, acqua e calore; tali perdite sono contenute se l’essiccazione è rapida;
- cause meccaniche, durante le operazioni di rivoltamento, spargimento, raccolta; esse risultano maggiori quanto più secco è il foraggio;
- pioggia che allontana i nutrienti solubili in acqua ed inumidisce nuovamente il foraggio;
- processi fermentativi durante la conservazione ad opera di batteri e muffe; risultano maggiori quanto più alta è l’umidità del fieno da conservare.
- riscaldamento prolungato che può determinare alterazione delle proteine, soprattuto quando è presente una discreta quantità di zuccheri, con ulteriore decremeneto della qualità nutrizionale del fieno.
Ma cosa si intende per fieni di buona qualità?
È opinione comune che la qualità del fieno vari in funzione della specie foraggera e delle sue varietà, della fase di crescita della pianta, delle condizioni climatiche, della fertilizzazione del suolo e finalmente dei metodi di conservazione.
Il suo valore nutrizionale, pertanto, sarebbe da ricondurre fondamentalmente a:
- caratteristiche della specie affienata (i fieni di leguminose sono più appetibili e con maggiori livelli proteici rispetto alle graminacee)
- tecnica di fienagione, capacità degli operatori e relative attrezzature a disposizione;
- momento dello sfalcio dell’erba: inizio fioritura per le leguminose, spigatura incipiente per le graminacee, ovvero quando si realizza la migliore sintesi tra digeribilità e valore energetico del foraggio con la quantità di sostanza secca ottenibile.
È pertanto pensiero comune che, ad esempio, un fieno di leguminose, perché più proteico, sia da preferire ad uno di graminacee e che un fieno monofita sia migliore di uno polifita, perché con meno infestanti e quindi con composizione chimica meno variabile.
Probabilmente questa è una visione riduttiva della questione.
Siamo, infatti, dell’avviso che al fine di valutare la qualità del fieno, sia necessario prendere in considerazione anche altri parametri: colore, aroma, struttura, consistenza, ricchezza di foglie.
- un fieno di buona qualità si presenta di un colore tendente al verde: l’ingiallimento è da attribuire alle piogge o, in ogni caso, ad una eccessiva permanenza in campo; un colore bruno è da imputare a riscaldamento con inevitabile diminuzione delle digeribilità e quindi del valore nutritivo;
- per quanto concerne l’aroma, generalmente, maggiore è il numero di essenze più profumato sarà il fieno. Le molecole aromatiche sono soprattutto presenti nella parte verde, molto di più nelle foglie e meno nello stelo e diminuiscono a mano a mano che la pianta va verso l’ingiallimento. Un fieno con sentore di marcio non va somministrato;
- il fieno deve essere morbido e quanto più possibile foglioso, tenendo conto tuttavia che il rapporto steli/foglie dipende dall’essenza foraggera e dall’epoca di sfalcio: risulterà generalmente più foglioso se di prato stabile che di prato avvicendato; un fieno grossolano, con poche foglie e con steli lignificati testimonia un probabile ritardo nello sfalcio e/o notevoli perdite durante il processo di fienagione.
In ogni caso, la valutazione della qualità del fieno non può prescindere dalla interazione alimento/animale.
Nei ruminanti il soddisfacimento delle esigenze nutrizionali deve tenere in debito conto la presenza della microflora e della microfauna del rumine, entambe rappresentate da numerosissime specie, ciascuna con proprie preferenze per diversi substrati.
In altre parole, l’ottimizzazione delle loro sintesi si ottiene fornendo substrati diversi e quanto più possibile tra loro complementari.
È forse il caso di ri-valutare i fieni polifiti?
In merito, da qualche anno si sta cercando di mettere a punto un altro parametro utile alla valutazione del fieno, l’indice di metanogenicità, ovvero la stima della potenziale produzione di metano da parte dei ruminanti in funzione di alcuni dei parametri su riportati così come della presenza di fattori comunemente definiti anti-nutrizionali.
È ben noto che la produzione di metano diminuisce l’efficienza di utilizzazione degli alimenti e può anche rappesentare un problema in termini di impatto ambientale.
È pertanto utile porsi l’obiettivo di una sua diminuzione nell’ambito di una sempre più richiesta sostenibilità dei sistemi di allevamento.
I risultati sinora ottenuti sembrano confortare l’ipotesi che probabilmente va rivisto il sistema di valutazione del fieno sulla base della sola composizione chimica e quindi della presenza di una sola essenza, anche di quelle considerate “migliori”.
Un buon fieno può, inoltre, migliorare le caratteristiche dietetico-nutrizionali del latte prodotto.
Se è noto, infatti, che per gli animali la maggior fonte di betacarotene e di acidi grassi della serie omega3 è rappresentata dall’erba fresca, è dimostrato che una fienagione ben condotta limita fortemente la perdita di entrambi.
In altre parole, un buon fieno somministrato in quantità adeguate (almeno il 70% della razione) può bilanciare l’apporto degli acidi grassi della serie omega 6 fornito dalle granelle di cereali, sicchè anche il latte di animali non allevati al pascolo presenterà un rapporto omega 6/omega 3 ricadente nel range 2:1 – 4:1, ritenuto ottimale per la salute umana.
E per quanto riguarda il contenuto in vitamina E, esso sarà ancora a livelli tali da poter svolgere azione antiossidante il colesterolo.
Un buon fieno, infine, quando caratterizzato dalla presenza di più essenze foraggere, presenterà un profilo aromatico più ampio e pertanto anche le caratteristiche organolettiche del latte e dei suoi derivati ne risulteranno avvantaggiate.
In definitiva, scegliere o produrre fieni di buona qualità per la razione dei ruminanti significa rispettarne la fisiologia (ovvero garantire la corretta funzionalità del rumine), preservarne il benessere e di conseguenza ottenere da essi prodotti di elevato valore sia organolettico che nutrizionale.
Da quanto sopra, infine, non andrebbe trascurato il beneficio economico derivante dall’impiego di buon fieno che si traduce in un minor ricorso all’integrazione della razione con le granelle, la cui quotazione quasi mai legata alla qualità, risente fortemente delle oscillazioni del mercato.