5- I SURROGATI DEI PRODOTTI ANIMALI RAPPRESENTANO UNA MINACCIA PER GLI ALLEVATORI?

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Francesco Tiezzi North Carolina University

Dopo una superficiale carrellata di prodotti surrogati[1] che si trovano sugli scaffali di certi supermercati negli Stati Uniti ed alcune considerazioni gastronomiche [2] e ambientali[3], siamo giunti al punto: i surrogati dei prodotti animali, rappresentano davvero una minaccia per gli allevatori?

Ovviamente, non posso predirlo. Posso solo fare delle considerazioni.

I surrogati del latte partono da ricette spesso presenti nelle cucine orientali. Vanno a rimpiazzare quel latte “convenzionale”, che spesso di sapore ne porta poco o addirittura nessuno.

I surrogati della carne sembrano il punto di arrivo di un processo lungo, già partito qualche decennio fa nel tentativo di ridurre quantità (e qualità) di carne nei piatti di quasi tutto il mondo.

Nell’era dell’abbondanza di derrate alimentari, abbiamo aumentato il nostro consumo di carne ma in qualche modo la carne è stata sostituita con qualcosa che carne non è. Come mai?

Perché in realtà la domanda della carne ha sempre sopraffatto l’offerta, per lo meno a livello mondiale. Per questo si è continuato a disboscare, per convertire le terre a pascolo e a coltivare colture che, come la soia, hanno trovato ragione di esistere come alimento per gli animali.

L’aumento di vendite dei surrogati della carne ha seguito di pari passo la scarsità di carne sui mercati mondiali. Prima con il “filler” usato in hotdog, wurstel e forse anche hamburger, poi con gli hamburgers per metà carne e per metà vegetali.

E proprio ora, arrivano dei surrogati che di carne non hanno niente. Come mai?

Perché a livello mondiale, la domanda di carne non è mai stata così alta, nella storia dell’umanità, e ci sono seri problemi a farvi fronte con l’offerta. Al 2019, la Repubblica Popolare Cinese aveva perso il 40% (forse di più?) della popolazione suina a causa della Peste Suina Africana, mentre in Oceania siccità ricorrenti hanno talvolta ridotto le esportazioni.

Quindi, i tempi sembrano maturi per introdurre sul mercato dei prodotti che emulino la carne senza esserlo o averne minima parte. Un simile prodotto ha un vantaggio intrinseco: non dipendere dalla disponibilità di mercato della carne. Non dipende da zoonosi, siccità, pandemie nei mattatoi o allevatori in rivolta. Il che si prospetta vantaggioso per chi ne gestisce vendita e distribuzione.

Produrre “carne” in fabbrica è, e sarà, vantaggioso in quando necessita solamente dell’approvvigionamento di pochi prodotti vegetali, senza doversi curare della volatilità dei prezzi e della disponibilità della vera carne a livello mondiale. Tale “carne” si può produrre ovunque e in qualsiasi stagione. Non necessita di celle frigorifere e di personale specializzato per la macellazione.

Benché questo ragionamento possa suggerire che i surrogati di carne e latte altro non siano che trovate commerciali, mi asterrò dal proseguire in questa speculazione.

E quindi gli allevatori, che fine faranno in tutto questo?

Credo che si riservi a loro un diverso destino, a seconda di come abbiano condotto e stiano conducendo la propria attività di allevatore.

La differenza non starà nel produrre in maniera intensiva o estensiva, nel mungere col robot o meno, nel vendere direttamente al consumatore o meno.

Credo che la differenza starà solamente nel tipo di prodotto che gli allevatori vogliono vendere.

Gli allevatori che si sono trovati una nicchia, che producono latte e carne di qualità non avranno problemi. Benché il consumo di vera carne diminuirà, ci sarà sempre spazio per questi prodotti e per questi allevatori. Se non altro, perché già occupano una nicchia ristretta del mercato, quella del consumatore informato e attento, che è disposto a pagare di più per un prodotto che lo valga. Tale consumatore non sostituirà la carne di qualità con quella “finta”.

Sono gli allevatori che producono commodity ad essere più a rischio. Per commodity, intendo tutti quei prodotti venduti a prescindere dalla loro qualità percepita. Magari il loro prezzo è aggiustato secondo certi parametri di qualità imposta, ovvero griglie di pagamento che penalizzano il maiale troppo grasso o il latte con contenuto di proteine eccessivamente basso. Questi allevatori non sono nuovi a vedere il prezzo dei proprio prodotti essere fatto altrove, nelle borse merci o negli uffici di qualche trasformatore, magari anche trans-nazionale.

Ecco, è il prezzo di questi prodotti che risentirà di più dell’avvento dei surrogati. Sarà forse per un’effettiva sostituzione della dieta, o forse per una speculazione. Anche nel secondo caso, non sarebbe la prima volta che si vede crollare prezzo mondiale del latte.

Di per sé, non credo che i surrogati dei prodotti animali rappresentino un problema per gli allevatori. Il problema è la produzione delle commodity, ovvero la produzione di beni che hanno valore solo per la loro quantità, non vengono pagati per la loro effettiva qualità e non danno la giusta remunerazione all’allevatore. Questo è probabilmente il momento giusto per staccarsi da un certo mercato e provare a lavorare verso qualcosa di diverso.

Allo stesso tempo, il consumatore deve capire che è meglio lasciar perdere prodotti animali eccessivamente economici, di scarsa qualità e dubbia provenienza. Tali prodotti, infatti, non giovano agli allevatori, ma alla fine neanche ai consumatori.

[1] https://www.robertorubino.eu/dagli-usa-prima-o-poi-certe-mode-arrivano-meglio-essere-preparati-1-la-carne-vegetale/, https://www.robertorubino.eu/dagli-usa-prima-o-poi-certe-mode-arrivano-meglio-essere-preparati-2-il-latte-vegetale/

[2] https://www.robertorubino.eu/un-viaggio-tra-surrogati-usa-3-alcune-considerazioni-gastronomiche/

[3] https://www.robertorubino.eu/4-un-viaggio-tra-surrogati-usa-riprendiamoci-pascoli-e-lambiente-ci-ringraziera/