FORMAGGI AL GIRO DI BOA | L’analisi sensoriale #4: il racconto

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Dopo la degustazione di un formaggio dobbiamo essere capaci di dire cosa e chi c’è dietro quel formaggio. Cosa ha mangiato l’animale e se il prezzo è in relazione al suo livello qualitativo

L’analisi sensoriale potrebbe rivelarsi uno strumento utile per capire sia il livello qualitativo del prodotto e sia i fattori che lo hanno determinato.

Per potersi avvicinare il più possibile al risultato atteso, è necessario fare qualche premessa e riassumere i punti fermi su cui noi fondiamo la nostra teoria.

Noi partiamo dall’ipotesi che sia soprattutto l’alimentazione degli animali ad influire sul livello qualitativo del formaggio. Perché?

Veramente si potrebbe anche riprendere il famoso: what else, che altro, ma chi va nella direzione opposta sostiene che sì, un po’ l’alimentazione c’entra ma è soprattutto la razza (o la varietà, nel caso dei vegetali) e il microbismo ruminale a determinare quel livello e non un altro.

Sulla razza c’è poco da dire.

Mussolini quando annunciò, nella piazza principale di Trieste le leggi razziali, disse: perché noi non solo siamo diversi dagli ebrei ma superiori.

Ecco, se vogliamo dire che le razze sono diverse tra loro, ci sta, anche se per la verità c’è più diversità all’interno della razza che fra le razze.

Ma se parliamo di superiorità, allora vorrà dire che abbiamo trovato le motivazioni scientifiche per dire che una razza può essere superiore ad un’altra. E che dire del microbismo ruminale?

Tutti i ruminanti hanno il rumine e ruminano. E allora?

Se dipendesse dal rumine, tutti i formaggi sarebbero uguali.

Ma se dipende dai precursori, che poi il rumina trasforma, allora il merito non è del rumine ma dei precursori.

È come dire che un cantante canta bene perché il microfono è di ultima generazione. Quindi, per esclusione, ci resta l’alimentazione ed è su quella che ci dobbiamo focalizzare.

Come organizziamo la degustazione?

Se vogliamo capire da cosa dipenda la specificità di ciascun formaggio, dobbiamo partire da un’ipotesi e individuare i formaggi della stessa tipologia, ma il cui latte provenga da diversi sistemi di alimentazione.

Faccio l’esempio del caciocavallo al Sud e della Toma al Nord.

Quindi vanno acquistati in maniera mirata. Si devono prendono formaggi, più o meno della stessa età, che siano stati prodotti con animali al pascolo e alla stalla e poi, all’interno di ciascun sistema di alimentazione, va tenuto conto della quantità di mangimi.

Qualche anno fa ho provato a delineare 6 classi di qualità basate appunto su diversi sistemi di alimentazione (le classi di qualità).

A questo punto abbiamo 4, 5, 6 formaggi della stessa tipologia ma diversi per l’alimentazione degli animali.

caciocavalloCi serve ancora un’altra informazione: per ciascuno di essi dovremmo sapere se sono a latte crudo e se sono stati utilizzati fermenti.

Ora si può iniziare la degustazione che, ça va sans dire, deve essere fatta alla cieca, nessuno, nemmeno il conduttore deve conoscere la relazione che c’è fra un formaggio e l’alimentazione degli animali che hanno prodotto quel latte.

Durante l’analisi sensoriale le informazioni che ci potranno essere utili alla lettura della specificità e al racconto sono: i fattori che influenzano il livello qualitativo e le molecole che ne sono responsabili.

Quali molecole sono responsabili?

Nel mondo della ricerca scientifica, l’ipotesi più accreditata è che le proteine e il grasso siano ampiamente responsabili del flavour del formaggio, perché attraverso la lipolisi e la proteolisi si formano composti che poi determinano l’odore e il gusto.

Però tutti i formaggi hanno grasso e proteine e se avessimo la possibilità di acquisire una campionatura enorme di formaggi che avessero lo stesso contenuto di grasso e di proteina, vedremmo che non sarebbero uguali, ma molto diversi.

Secondo me il ruolo di grasso e proteina è minimo e trascurabile.

Invece altre sono le molecole a cui dobbiamo guardare.

C’è però unanimità sul colore, che dipende dai carotenoidi e, in parte, dai flavonoidi. L’odore è determinato da molecole volatili, lo dice la parola stessa. Per questo si parla anche di pro..fumo.

E quindi: aldeidi, chetoni, acidi, esteri, aldeidi, alcoli, terpeni. Un poco possono intervenire gli acidi grassi a catena corta o l’’ossidazione degli insaturi, ma solo per dare odori poco piacevoli.

E poi c’è il gusto, che è dovuto a molecole non volatili e che secondo gli esperti sarebbe determinato dall’insieme di tutte quelle molecole che si formano in seguito alla lipolisi e alla proteolisi; i polifenoli danno solo l‘astringenza e l’amaro.

Io credo invece che siano soprattutto i polifenoli a influire pesantemente sul gusto.

Non ho le prove se non quelle che mi vengono dalla degustazione dei formaggi e anche di altre materie prime.

Se assaggio un formaggio e riesco a capire, sempre alla cieca, se l’animale ha mangiato molta o poca erba, molti o pochi mangimi, se l’erba era verde o secca, chi può essere responsabile di questi messaggi se non i polifenoli?

E comunque, insieme a altri ricercatori stiamo studiando il ruolo dei polifenoli e la relazione con il gusto. Fino a quando non avremo risultati certi, ci regoleremo considerando i metaboliti secondari (terpeni e fenoli) e i volatili fra i principali responsabili del livello qualitativo del latte e del formaggio.

I fattori che influenzano il livello qualitativo

Abbiamo detto dell’alimentazione, ma prima di addentrarci in questa ipotesi dobbiamo parlare della qualità delle materie prime che vanno a costituire la razione alimentare degli animali.

Nel sistema stallino, poiché la parola d’ordine è: abbassare i costi e aumentare le quantità, tutte le materie prime che vengono utilizzate vengono prodotte con metodi fortemente intensivi: diserbanti, concimi fino ai limiti di legge se non oltre, acqua a volontà.

Ergo, il livello qualitativo è ai minimi livelli, e sto parlando non solo del silo-mais e del fieno, ma anche dei cereali e dei legumi che entrano nella quota mangimi.

Quindi, alla stalla, la qualità delle materie prime è più che modesta. Al pascolo ci sono differenze sostanziali se gli animali pascolano su un prato naturale o su un erbaio.

Nel primo caso l’intervento umano è minimo, a volte nullo (molti pastori non tagliano nemmeno le infestanti), quindi niente concimi, niente diserbanti. La qualità dell’erba è al massimo.

Negli erbai invece le cose cambiano: concimi, a volte acqua per ottenere grandi quantità di erba. Ma poi l’erba va affienata. E qui comincia il lamento del coro greco.

Se escludiamo le fasce alpine e qualche area a macchia di leopardo della penisola, possiamo dire che in generale la qualità dei fieni è più che modesta e, siccome i fienili sono inesistenti e, laddove esistono, il fieno non se ne accorge, va da sé che la qualità finale del fieno è sconfortante.

Quindi, se pensiamo che nei sistemi stallini la qualità dei mangimi è modesta e quella della quota erba altrettanto, non ci dobbiamo meravigliare se in Italia c’è una quota importante della produzione nazionale la cui qualità lasci molto a desiderare. O più correttamente: colore, odore e gusto, appena accennati.

E veniamo alla razione

I ruminanti potrebbero vivere mangiando solo erba.

Nei paesi tropicali questo avviene perché l’erba è verde tutto l’anno.

Laddove così non è, c’è il problema di fornire il giusto sostentamento agli animali nei periodi di neve o di secco.

La transumanza o il nomadismo sono nati per questo motivo. Oppure falciando l’erba per produrre fieno o insilato.

Con la sola erba gli animali possono produrre una quantità limitata di latte, perché il rumine ha un volume limitato e l’erba lo riempie facilmente.

Ecco perché si usano i mangimi, i concentrati, che si chiamano così perché concentrano in meno spazio la stessa quantità di energia. E gli animali producono più latte.

Ma siccome ciascuno può produrre una data quantità di una certa molecola, darà lo stesso risultato sia se produce 10 litri al giorno e sia se ne produce 100.

Solo che quella molecola sarà cento volte più diluita.

Quindi, più mangimi si danno agli animali, più latte viene prodotto e più il latte è diluito.

Ecco perché, se assaggiamo il formaggio e, a prescindere dal colore e dall’odore, andiamo subito al gusto, lo troveremo quasi nullo e possiamo allora affermare con sicurezza che l’assenza di sensazioni gustative è dovuta alla presenza elevata di mangimi e/o ad una modesta quota di erba (e nemmeno di buona qualità).

Però anche alla stalla si possono fare buoni formaggi e ne ho incontrati in giro, al Nord come al Sud.

Basta avere buoni fieni, che devono essere verdi e profumati, e tenere la quota mangimi non superiore ai 5 Kg capo/giorno per le vacche.

E poi abbiamo i sistemi al pascolo. Anche qui le differenze possono essere enormi. In cima sta il pascolo naturale, con le sue decine e decine di specie diverse, ciascuna delle quali apporta molecole diverse che arricchiscono la complessità aromatica e nutrizionale del latte e del formaggio.

Ma il pascolo cambia di continuo e così le caratteristiche organolettiche del latte. Da questo modello, il livello scende a mano a mano che aumentiamo la quota mangimi. Scende ancora di più se invece del pascolo naturale ci troviamo di fronte ad un erbaio che ha al massimo due erbe.

Il motivo è sempre lo stesso. Ogni erba apporta metaboliti secondari e volatili diversi e più erbe ci sono e meglio è, più alto sarà il contenuto di queste sostanze.

Torniamo alla degustazione alla cieca.

Abbiamo 6 formaggi della stessa tipologia ma diversi solo per l’alimentazione degli animali, che però nessuno conosce se non la persona che ha tagliato i formaggi.

Iniziamo la degustazione provando a individuare, per ciascun formaggio e in base al colore, all’odore e al gusto, se gli animali erano alla stalla o al pascolo; se erano alla stalla, quale potrebbe essere la quota mangimi e se la qualità del fieno è buona; se al pascolo, se il pascolo è naturale o se è un erbaio e se gli animali hanno mangiato anche concentrati.

E poi facciamo il raffronto con i dati reali.

Io in questi ultimi anni ho sbagliato poche volte e sempre per lo stesso motivo: alla degustazione il livello qualitativo mi sembrava importante ma poi l’allevatore mi diceva che la razione era sbilanciata verso i mangimi.

Però non ho mai avuto modo di vedere da vicino i fieni utilizzati e gli stessi mangimi. Ecco perché bisogna essere sicuri che la razione alimentare sia quella che ci viene raccontata dal produttore.

Insomma, attraverso questa metodologia di degustazione possiamo meglio indirizzare le nostre scelte e, soprattutto, il livello qualitativo dei prodotti lo possiamo decidere a tavolino.

Visto che andrà tanto di moda l’acquisto on line, non diremo più: voglio una toma o un caciocavallo o anche un formaggio DOP, ma quel formaggio, fatto con animali al pascolo o alla stalla, con mangimi o senza mangimi.

Decidiamo noi, non il caso.