Francesco Tiezzi North Carolina University
La campagna americana che spesso si vede nei film è quella di morbide colline verdi, dove si vedono abitazioni rurali abbinate a stalle dalla tipica struttura e un immancabile silos verticale di metallo.
Benché non tutta la campagna statunitense sia proprio così, certi paesaggi si trovano ancora dove ci siano (o siano state) aziende con vacche da latte: magari nella contea di Lancaster in Pennsylvania, nel Wisconsin o anche qui nel North Carolina. Verrebbe da pensare che tali aziende siano ancora in funzione, ma purtroppo molte non lo sono più.
Una zona dove ancora queste aziende rimangono è la Driftless Area, che si trova nel Wisconsin sud-occidentale. Qui si trovano ancora, come in pochi altri posti, aziende di vacche da latte con 100-200 vacche in lattazione. Per diversi motivi, tra cui l’orografia del luogo, le aziende non sono riuscite ad incrementare il numero di capi come, invece, sta succedendo in altre zone. Ma purtroppo, queste aziende di medie dimensioni non riescono comunque a stare sul mercato, e chiudono una dopo l’altra.
Ormai è cronaca di tutti i giorni, tanto che anche le testate nazionali ne parlano con cadenza settimanale. Le aziende da latte chiudono e talvolta, purtroppo, i problemi dell’azienda si ripercuotono anche sui nuclei familiari, e qualcuno non ce la fa a reggere il colpo. Chiudono anche aziende che hanno prodotto latte per più di 100 anni, aziende passate di generazione in generazione.
È il risultato della politica del ‘go big or go home’ che ormai da decadi viene applicata negli Stati Uniti. Già il segretario all’agricoltura del governo Nixon, Earl Butz, lasciava poco spazio alle interpretazioni quando iniziò ad usare tale slogan nei primi anni ’70. Due anni fa, anche il segretario all’agricoltura del governo Trump, Sonny Perdue, ha ribadito il concetto: non c’è spazio per i piccoli produttori in agricoltura.
Intanto verrebbe da pensare che siano le aziende con 10-20 vacche a non avere spazio sul mercato. In realtà, queste aziende spesso se la passano meglio di quelle con 100-200 vacche, soprattutto se fanno trasformazione e vendita diretta. Ma tra le aziende commerciali, negli Stati Uniti fa fatica a rimanere sul mercato anche un’azienda con 500 vacche in lattazione. Anzi, anche con 700. Anzi, il numero di vacche si alza ogni anno.
Di conseguenza, negli ultimi 10 anni il Wisconsin ha perso quasi la metà delle aziende da latte. Ma il numero di vacche è rimasto lo stesso.
Ma come mai così tante aziende si trovano a chiudere?
Oppure verrebbe da chiedersi come mai, dopo 50 anni dalle parole di Earl Butz, le aziende di 100 vacche ancora non sono tutte chiuse?
Entrambe le domande sembrerebbero legittime. Partiamo con la prima.
Prima di chiedersi come mai un’azienda debba chiudere, ci si dovrebbe chiedere come mai abbia mai aperto e come abbia fatto a prosperare per più di un secolo. Verrebbe da pensare che tali aziende siano aperte perché sia naturale consumare latte e latticini, ed è naturale consumarne in quantità tale da supportare tale numero di aziende. Verrebbe da pensare che il numero di vacche ed il loro livello produttivo sia solamente dovuto alla necessità reale di produrre latte.
In realtà, non è così. Sono state le politiche agrarie degli ultimi 100 anni a creare l’industria del latte statunitense come la conosciamo. A partire dalle politiche del New Deal, che erano orientate ad aumentare la produzione ma proteggendo il reddito dell’allevatore. In questo modo, centinaia di migliaia di famiglie si sono messe a mungere vacche. Poi è arrivata la Rivoluzione Verde, che ha portato ad aumento ancora più forte delle produzioni. Poi gli anni ‘70, con le politiche di Nixon e il miraggio che l’export avrebbe assorbito tutte la produzione in eccesso. Di pari passo, i consumatori venivano incessantemente spinti a consumare latte, con pubblicità e programmi governativi che cercavano di far consumare più latte possibile (riporto in fondo altri articoli scritti in precedenza). Quindi, l’industria del latte è cresciuta aiutata dalla politica agraria. Il che è stato di certo un bene, finché ha funzionato.
E quindi arriviamo alla seconda domanda, come mai queste aziende sono ancora aperte, se così inadatte?
Perché proprio le politiche agrarie hanno, talvolta, tenuto il prezzo del latte alto. E quindi tali aziende rimanevano sul mercato. Prezzi alti significava meno importanza all’efficienza, tanto il latte veniva comprato e pagato bene. Alcuni allevatori facevano investimenti per migliorare l’efficienza, altri no. E così tiravano avanti.
L’unica costante era quindi l’aumento della produzione.
Quando i prezzi aumentavano, gli allevatori aumentavano la produzione per fare cassa.
Quando i prezzi diminuivano, gli allevatori aumentavano la produzione per mantenere il flusso di cassa.
Ogni ciclo di prezzi alti/bassi comportava la perdita di un numero di aziende e l’incremento di dimensioni di altre.
Le aziende che chiudevano lasciavano le stalle vuote.
Le aziende che si ingrandivano lasciavano le stalle vuote, perché ne dovevano costruire di nuove, più moderne.
Go big or go home.
Al di là dell’impatto sulla qualità del latte che ciò può aver comportato, vorrei porre l’attenzione su una questione.
Ciò che sta strozzando le aziende oggi, è quello che le ha fatte nascere e mantenute in vita per decenni.
Senza i programmi governativi di 100 anni fa, negli Stati Uniti probabilmente non si produrrebbe e consumerebbe così tanto latte.
Senza i programmi governativi di 50 anni fa, orientati ad aumentare le esportazioni, non si produrrebbe così tanto latte.
Per 100 anni tutti si sono preoccupati di aumentare la produzione: nessuno si preoccupava della qualità, del benessere animale, dell’impatto ambientale. Ora gli allevatori si trovano ad affrontare questi problemi. Chi li aiuta?
Per saperne di più
https://www.newyorker.com/magazine/2020/08/17/how-suffering-farmers-may-determine-trumps-fate
https://washingtonmonthly.com/2019/11/21/the-monopolization-of-milk/